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Aan de Amsterdamse grachten) (Ai canali di Amsterdam) è una delle mie canzoni popolari preferite, quelle che mi vengono le lacrime quando le ascolto. Questa mi fa piangere perché è un’ode d’amore alla mia città, quella che nelle intenzioni avrei voluto scrivere io, ma con le percussioni più energiche e un contrabbassista serio. E comunque ve l’ avevo già citata da queste parti.

E che l’ argomento mi prenda si capisce anche da un altro vecchio post, su un’ altra canzone popolare d’ amore per Amsterdam, che eventualmente vi potete ritrovare qui.

Anche se non è in senso stretto una smartlap, la tipica canzone popolare del Jordaan (che poi maschio alfa sostiene da anni che ci sono delle affinità sospette tra le canzoni giordanesi e certe cose che gli capita di sentire alle sagre paesane in Italia) perché la vera autentica smartlap parla per definizione di sfighe, che manco una canzone di Mina o Mia Martini, per dire, ma sfighe vere. Come il bambino del macellaio, Keesje, un angioletto tutto ricciolidoro che un giorno si taglia i piedini sulla’ affettatrice del padre – no, ma il gegno che le pensa certe canzoni – ma poi per fortuna il fato, dio, la madonna, qualcosa di superiore gli procura dei piedini d’ oro così Keesje sorride di nuovo.

Poi la prossima volta che mi sbronzo vi raccontol’ altra canzone popolare che mi fa piangere, che è la Zuiderzeeballade, poi non dite che non mi sforzo di fare cultura su questo blog.

20140521-183646.jpgComunque, si diceva di Aan de Amsterdamse grachten, oggi dopo aver accompagnato la classe di Ennio che partiva per la gita scolastica, tre giorni in ostello e 30 km. in bicicletta per arrivarci, dopo averli abbracciati, salutati, stressati i genitori ormai al lavoro di quello che piangeva disperato perché si era perse le chiavi della bici ma poi qualcuno ne ha portato un paio al bidello e si, erano le sue (ho mandato la foto di lui sollevato che partiva ai genitori, porelli), persa la partenza del primo plotone con mio figlio intanto che rivoltavo tasche e borsa del piangente, salutato, ricevuta telefonata da Orso col mal di pancia a scuola, fatto due commissioni e mentre mi avvicinavo al traghetto (ta-da-dan, attimo di suspence)

mi sono ritrovata questi su in costume circondati da fotografi e cameramen, vai a sapere perché

e questi (mi mancano gli aggettivi, scusate)

mi hanno sfiatato la canzone che sempre mi fa piangere.

Ma andassero a pascere. Fuori Amsterdam.

Per fortuna è arrivato il traghetto.

20140521-183622.jpg

 

Ma aridatece Wim Sonneveld: http://youtu.be/MhdQ59LHorQ

o Tante Leen: http://youtu.be/hRkvWeN8JyI

o almeno, se volte vedere che effetto fa al popolo la canzone, eccovela in una versione che pensavo improbabile, invece la fanno sempre al Prinsengrachtconert, un concerto estivo di musica classica eseguito su pontoni ormeggiati sul uno dei canali principali, dove la gente si ormeggia ore prima con le barchette pur di starci, e dove resta anche sotto la pioggia, come vedete dagli impermeabilizzi goldoni.


Ecco, se dovete cantarmi Aan de Amstrdamse grachten fatelo come si deve. Grazie Joseph Calleja, diretto da Joseph Pappano. Voi ascoltatevela, ma fate soprattutto caso alla gente intorno (e il signore con i gatti, non vi perdete quello, che i gatti fanno SEO e qui le visite languono).

4 comments

  1. che bello, ma che bello, con la gente che si alza in piedi che manco al WIlhelmus e le barche che dondolano paurosamente ma guarda un po’, non cade nessuno… me lo ricordo questo concerto, visto ovviamente in tv (qui non ce ne perdiamo uno di questi avvenimenti Oranje), e come allora m’è scappata la lacrimuccia. grazie Ba.

    1. Vero Farouche mia? Qui tutti a sbrodolare sulla sentimentale anima slava, ma la sentimentale anima batata non resta indietro a nessuno (è vero, la cosa che mi piace pure a me è il punto in cui si alzano in piedi, altro che Wilhelmus, che è pure difficile da cantarci sopra).

      1. e si alzano in piedi *prima* che il pezzo cominci, fra l’altro — della serie: il re può piacerti o non piacerti, ma Amsterdammer sei e Amsterdammer rimani.
        (comunque “l’anima batata” è il mio refuso preferito di oggi, sappilo.)

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