Ringrazio la mia amica Floriana Grasso che ha tradotto per  #donnexdonne sui socialnetwork alla ricerca delle buone prassi al femminile questo articolo: http://womenmakenews.com/content/story/italy-where-did-all-feminism-goCon il suo permesso mi sembra utile condividerlo qui per vedere se la discussione ci può offrire altre chiavi di lettura non solo dell’ articolo in questione ma anche della situazione che descrive. Qui sotto la riflessione di Floriana quando ce l’ ha proposto, voi cosa ne pensate?

Fra le altre questioni trattate, la mia riflessione era: in US, pare, hanno funzionato moltissimo le universita’ solo femminili, in Italia sarebbero impensabili non soltanto come realizzazione, ma soprattutto come concetto, se gia’ le quote rosa fanno storcere il naso a molti, la cultura specie di sinistra secondo me guarderebbe a questa soluzione con indignazione, o, ad andare bene, con snobismo. Voi che ne pensate?

Italia: dove è andato a finire tutto il femminismo?

Gli italiani hanno recentemente tenuto manifestazioni in supporto della dignità delle donne. “Se non ora, quando?” è la domanda. Quando le donne diranno “basta!”?  Nel tentativo di spiegare l’apparente apatia delle donne nei confronti di quel circo offensivo che è la vita non-tanto-privata del Primo Ministro Silvio Berlusconi, i media ritritano una litania di razionalizzazioni. Menzionano gli stereotipi del macho italiano, citano un gender gap più grande di quello del Kazahkistan, o il fallimento del movimento femminista italiano.

Nessuna di queste spiegazioni racconta tutta la storia, e tutte sorvolano sulla grandezza e il background delle immense conquiste del femminismo italiano.

In uno splendido (ma mai distribuito) documentario del 2009 “Ragazze la Vita Trema”, la regista Paola Sangiovanni ha filmato la storia del femminismo italiano, dalle origini nella politica radicale degli anni 70, lasciando parlare i partecipanti. Battaglie epiche per il divorzio (1971) e l’aborto (1978) unirono le donne attraverso tutto lo spettro politico e sociale. Ma, per quando si arrivò agli anni 80, il fervore era spento. Il movimento si era esaurito dalla mancanza di cause unificanti e interne lotte ideologiche. L’assassinio della diciannovenne Giorgina Masi durante un corteo nel 1977 (probabilmente per mano di un poliziotto in borghese) potrebbe essere stato l’ultimo colpo. Come una delle partecipanti ricorda “demoralizzate dalla violenza, ci siamo chiuse su noi stesse, su droghe e le nostre vite private”.

Il declino dell’Italia nella classifica del gender gap internazionale è una fotografia di questa rassegnazione. Altre nazioni si sono mosse in avanti mentre l’Italia è rimasta ferma.

Negli anni 1980, il movimento femminista US perse sull’emendamento sulla Parità di Diritti, e parve crollare. Ma invece di chiudersi all’interno verso la vita domestica, le donne Americane optarono per la carriera, entrando in campi dominati da uomini e alla fine raggiungendo livelli di status professionale invidiati in Italia. Cosa aveva il movimento US che mancava a quello Italiano?

Il femminismo italiano fu imprevedibile. Arrivò veloce e duro. Aveva “le palle”. Quello che non aveva erano “le spalle”. Il supporto della storia, e di strutture e reti parallele forti necessarie per sostenerne la crescita.

Il movimento US nasceva come il movimento Abolizionista contro la schiavitù (molti dei leader del quale erano donne). Lo slogan sulla maglietta del centenario dello Smith College “1875-1975: Un secolo di donne al top” non era totalmente faceto. Negli anni 70, diplomate a Smith, Wellesley, Vassar, Mount Holyoke, Radcliffe e college simili (nota, sono tutti college per sole donne), tutte grandi università fondate per dare alle donne l’istruzione che i loro fratelli ricevevano nei college tutti maschili della “Ivy-league” (nota, l’insieme delle università più prestigiose e orientate alla ricerca in US) in effetti ce l’avevano fatta ad arrivare al top.

In college dominati da uomini, queste donne sarebbero state incorporate in strutture tradizionalmente maschili, con risultati prevedibili. Invece, a queste donne veniva insegnato da altre donne,  e venivano guidate da altre donne. Professoresse e presidentesse fornivano modelli positivi e immediati. Erano al comando e al contempo si aspettavano leadership. Come risultato, le diplomate hanno portato le abilità, le aspettative, e i punti di vista sul potere e il ruolo delle donne nelle loro famiglie e comunità.

Nella piccola cittadina dove sono cresciuta, donne laureate gestivano la vita culturale e benefica locale. “Semplici casalinghe” gestivano budget multimilionari e organizzazioni complesse di orchestre sinfoniche, teatri, chiese e ospedali paramedici. La Lega delle Donne al Voto organizzava dibattiti politici e registrava gli aventi diritto di voto. Molte riversavano la loro esperienza in carriere pubbliche. Queste donne erano i partner civili (anche in casa) dei leader maschili, che non avevano altra scelta se non rispettarle e ascoltarle.

Mia madre e tutte le sue amiche erano laureate. Io sono la quinta generazione di donne laureate in famiglia; la sorella del mio bis-bis nonno fu la prima donna ammessa in corte nello stato di New York. Mentre lo dico con orgoglio, non lo dico però per vantarmi, ma per illustrare il mio punto. Donne come queste non solo erano modelli per altre donne, ma erano fondamentali nell’aiutare a educare gli uomini – fratelli o mariti – a rispettare alte aspirazioni di donne forti. In campi maschili ostili, io sapevo di avere alleate. Il mio padre tradizionalista non si aspettava che io diventassi un dottore o un avvocato. Si aspettava che io diventassi leader.

Le mie scuole, qualsiasi fossero i loro difetti, insegnavano leadership. Progetti di gruppo, consigli di studenti, e le tante micro-democrazie fatte in casa della vita americana, integrano le donne americane nel processo decisionale. Il processo può avere falle, ma esiste e prospera.

Lungo la strada, le donne hanno acquisito una rete di supporto a molti livelli, basata su ideali comuni, competenza e amicizia. Questi legami resilienti erano trasversali a ideologia politica, geografia e classe sociale. Se sbattevi contro un muro, c’erano posti dove voltarti, lavori da fare.

Confrontiamo con l’Italia. Il suffragio universale arrivò – appena – nel 1946. Molto poche delle mie amiche italiane con lo stesso background socio-economico del mio hanno madri laureate. Con il mondo culturale italiano gestito dallo stato (uomini) e il mondo della beneficenza gestito dalla Chiesa (ancora uomini, in gonna), la sfera domestica era l’unica rimasta per le donne, non importa la classe sociale o il livello di istruzione. La rete sociale femminile italiana era (ed è) basata su classe sociale, città o famiglia. Quindi, quando il femminismo ha sbattuto contro un muro, l’unico posto dove andare fu, letteralmente, a casa.

Oggi, l’assenza di queste strutture parallele e reti di salvataggio significa che i problemi dell’Italia colpiscono le donne con estrema durezza. E questo non sembra promettente per il gender gap.

Chi è più spremuto da una società di vecchi ragazzi dove il merito non significa niente? Le donne. Chi perde in una economia stagnante? Giovani laureati, la maggior parte dei quali donne. Chi prende su di sé le carenze di cattivi servizi pubblici? Madri e figlie. Se la correlazione fra scuola e lavoro è bassa, chi soffre? Ragazze senza modelli di ruolo. Senza un buon modello di ruolo, cosa scelgono le ragazze?

Sara Tommasi, la laureata in economia della Bocconi che ha preferito la carriera in TV a quella in finanza può non aver agito irrazionalmente.

Al corteo “Se non ora…” il giornalista e autore Beppe Severgnini si è lamentato che gli slogans e il formato erano stanchi e datati. Ha sfidato le organizzatrici a trovare idee nuove e fresche. Alcune di quelle vecchie dall’America potrebbero essere un buon punto da cui cominciare.

3 comments

  1. Avendo partecipato al movimento femminista posso dire la mia opinione sul ripiegamento. Per questioni generazionali le donne che si erano impegnate hanno ridotto al minimo o nulla la partecipazione politica per occuparsi dei figli e del lavoro (cosa impegnativa per tutte) avendo scelto di non rinunciare a nulla.
    Internet permette ora a tutte forme di impegno più “a misura di donna” che possono poi trovare momenti di aggregazione fisica più distanziate nel tempo, ma anche più coordinate ed incisive. Ho fiducia!

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