MarkenRADICCHIO BELGA (OVVERO, COME HO IMPARATO A FARE L’INSALATA DI)

L’insalata di radicchio belga e uvette è uno di quei cibi con cui mi sono imparentata per matrimonio. La migliore resta quella di Oma, Oma Ma, per intenderci. Perché le nonne nella famiglia di mio marito sono Oma Ma da Rotterdam, quella materna, che le figlie chiamano appunto Ma. E poi c’è Oma Moeke, da Roden, Drenthe, quella che io non ho fatto a tempo a conoscere, che i figli chiamavano invece Moeke. Ogni tanto Oma Ma viene a Roden per un po’, e cucina quelle cose buonissime che cucinano le nonne, tra cui anche l’insalata di radicchio e uvette, che io comunque vedo solo quando è già a tavola, e che mi limito quindi a mangiare.

La ricetta a cui sono però affezionata è quella di mio suocero, quella che gli ho visto preparare una volta e di cui ho sicuramente dimenticato i due o tre passaggi essenziali, e che ho ricreato a modo mio.

C’è sicuramente una componente emotiva in questa mia preferenza: mi piace guardare qualcuno cucinare una cosa che gli piace, e mi piace veder preparare un piatto con ingredienti che il cuoco si è procurato da sé.

Mio suocero coltiva il radicchio in garage e in cantina, dentro delle cassettine di legno con coperchio che ha fatto lui. Una se non sbaglio è una cassetta originariamente adoperata per vini o per spumanti di cui lui è raccoglitore. Mi fa piacere pensare a mio suocero come a un ragazzo di fattoria che ha studiato, ha viaggiato e ha acquisito il gusto dei buoni vini, e che nella stessa cantina colleziona bottiglie comprate in cassette di legno, nelle quali successivamente, e nella stessa cantina, si coltiva il radicchio. E mi fa piacere l’idea che il cerchio si chiuda in una insalatiera tonda tra radicchio e uvette.

Forse l’unico neo è che siccome è un uomo che sta attento ai propri vini, ancora non è arrivato al punto di farsi in casa anche l’aceto. Devo provare a suggerirglielo.

Quindi, non appena il radicchio nelle cassette è cresciuto al punto che è ora di mangiarlo il prima possibile, mio suocero fa l’insalata. Controlla una a una tutte le cassette, taglia i piedi di radicchio più grandi e li porta in cucina.

Questi suoi radicchi, rispetto a quelli incellofanati del supermercato con la loro forma liscia, dura e migdaloide, hanno l’aria invece di essere appena stati a correre con i cani nel bosco. Ragazzacci con le guance tonde e tutti spettinati. Le foglie sono cresciute tutte arricciate e disordinate fuori dal bocciolo, talvolta ad angolo retto, e quelle esterne sono picchiettate di marrone alla base, dove la parte croccante e carnosa ha cominciato ad ammorbidirsi e marcire. Le punte invece sono delicate e sottili, e il pallore giallastro del buio si sfuma nel verdino della clorofilla cieca.

Bisogna scartare generosamente le foglie esterne, e buttarle nel coperchio concavo della cassetta delle patate, insieme alle bucce (attenzione, non le bucce di cipolla, al maiale non piacciono). Più scarto c’è, più le bestie saranno contente. E in questo i radicchi in proprio danno sicuramente più soddisfazione dei loro sterili cugini da supermercato.

Anche questo degli scarti è un aspetto interessante della produzione in proprio degli ingredienti. L’ho scoperto quell’inverno, a casa in Italia, in cui la bocciofila locale trovò rifugio da noi in albergo, causa lavori alla sede.

Non che da noi si potesse giocare a bocce, ma cosa fanno tutti i marinai del paese in periodo di fermo pesca, a parte ritrovarsi in gruppetti di due-tre, la mattina tra le sette e le nove sul lungomare, ogni gruppetto all’altezza della propria strada o di quella del compare, per guardare com’è il mare stamattina? Vanno il pomeriggio alla bocciofila per continuare la conversazione.

E se i campi sono inagibili e le riunioni si tengono in locali alternativi provvisti di bar, giocano a carte, tra una riunione e l’altra. O, su istigazione di mio padre, organizzano cene a base di pesce, portandosi il pesce. E come lo puliscono il pesce i marinai che lo cucinano? Esattamente così come mio suocero pulisce il radicchio, ovvero, per dirla con mio padre, producendo una quantità di scarti che a un albergatore fa male al cuore vederli. Come commensale è tutta un’altra reazione, ovviamente. Ma le cose cucinate in casa, si sa…

Tornando al radicchio, altrimenti qui non si mangia più, intanto bisogna ammorbidire le uvette in una tazza di acqua bollente. E sciogliere dello zucchero nell’aceto dentro l’insalatiera. A cui aggiungere un filo di panna liquida, sale e pepe. E poi il radicchio tagliato a pezzetti e le uvette. E mischiare bene.

Così in una insalata ritroviamo tutti i sapori e i gradi di masticabilità:

· il dolce dello zucchero e delle uvette
· l’aspro dell’aceto
· l’amaro del radicchio
· il salato del sale
· il piccante del pepe
· il liquido della panna
· il croccante delle foglie
· il gommoso degli acini secchi rivitalizzati
· il sapore e la resistenza di tutte queste cose messe insieme.

E inoltre:
· il buio delle cassette
· il fresco della cantina
· il caldo secco che ha asciugato l’ uva rendendola uvetta
· il tempo che ha invecchiato l’aceto
· il rumore croccante della masticazione.

Un’insalata che contiene tutte le stagioni e tutte le direzioni, il nord del radicchio, il sud dell’aceto, l’est del pepe, l’ovest della panna e le uvette come caramelle per i bambini ubbidienti.

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