Sempre in nome dello sbattersi per il bilinguismo dei figli negli anni ho capito che portarli in Italia e fargli trovare degli amici fissi lì fa molto, ma ancora di più fa riuscire ad inserirli, anche solo per alcuni giorni, in un contesto organizzato per bambini, tipo scuola, colonia o corso di qualcosa.
Nel 2009 l’abbiamo fatto due volte, la prima presso una scuola elementare e vi racconto qui come è andata. Questo esperimento successivamente sono riusciti a farlo anche dei nostri amici che vivono in Belgio e durante le vacanze sono riusciti a far ospitare i figli alla scuola dei cuginetti in Liguria. Siamo tutti concordi sul fatto che la grossa differenza la fa l’interazione pratica con 20-30 bambini, sia a livello linguistico che di consapevolezza di differenze culturali.
Durante il nostro soggiorno in Italia i bambini sono andati per 5 mattine alla scuola elementare Maria Schiozzi, una scuola piccola e carina, con un giardino e un grosso parcheggio davanti (disse la madre multata per sosta illegale mentre ritirava i figli dal doposcuola senza parcheggi vicino). Su proposta della mia amica alla scuola di suo figlio, sia la dirigente che le maestre si sono entusiasmate a questo progetto di scambio culturale, pensando che anche ai loro alunno sarebbe potuto interessare conoscere dei bambini olandesi e farsi raccontare come si vive da noi.

Per motivi logistici e per semplificare le cose a tutti, con le maestre è stato deciso di metterli tutti e due in seconda, insieme al loro amico Leo, la cui nonna, amica di famiglia, ci ha ospitati tutti quanti.

“Ma davvero dormite insieme?” chiedevano gli amichetti increduli e un po’ gelosi.
“Si”, risponevano i reprobi, che effettivamente tutte le sere riuscivamo a ficcare nel lettone e dopo 10 minuti di chiacchiere e urla, schiantavano all’improvviso.

Sono stata commossa e piacevolmente sorpresa dalla disponibilità ed apertura delle tre maestre: Daniela, Ambra e Gentilina, e da come si sono adoperate per mettere i bambini a proprio agio e farli lavorare al proprio livello, se la classe era più avanti. Tutti hanno visto questo esperimento anche come un’occasione di apprendimento per entrambe le parti e si rallegravano che i loro bambini potessero imparare dai miei come si vive in Olanda.

Pare Ennio abbia avuto un gran successo come traduttore di parole tipicamente olandesi, tipo “taxi”.

Risultato?
“Mamma, mamma, Orso sta giocando in italiano, mi ha chiesto: adesso giochiamo?”, mi urla un Ennio eccitatissimo giusto il pomeriggio in cui io, abbattuta dalla tachipirina e dall’overdose di VivinC stavo cercando di dormire.

Io tendo l’orecchio e sento in effetti Orso, come suo solito, commentare a presa diretta il proprio gioco: solo che stavolta lo fa in italiano.

Stasera, mentre al buio parlo al telefono dal mio letto e scaccio i figli che vengono ad interrompermi per chiarire chi ha cominciato esattamente a picchiare l’altro (che non me ne può importare niente, se la vedano da soli se proprio insistono a picchiarsi, io ho il mal di testa da ieri), urlo a Ennio:

“E per favore chiudimi la luce” che la testa mi si spacca.
“Si dice la spengo”, ribatte lui.

Ecco, ma a me chi me l’ha fatto fare ammalarmi a Roseto per mandarli a scuola, se poi cominciano subito a riprendermi e farmi la lezione? ‘Sti batavi, con il ditino sollevato.

PS: la faccenda del ditino ammonitore volta ad insegnare e moderare pare sia un vizio nazionale degli olandesi, che se lo dicono da soli, evidente residuo del passato coloniale in cui partivano per civilizzare i popoli selvaggi. Ecco, non so dei selvaggi, ma il ditino, tutto vero. Lo fanno ancora, per il tuo bene.

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