IMG_1443Le città sono tutte delle torte a strati e di quelli di Cracovia ne conosco un po’. Non solo perché ci vengo da quando ero nella pancia e un po’ degli ultimi strati li ho visti formarsi negli ultimi quaranta e rotti anni. Insomma, non sono neanche stati rivolgimenti da poco.

Quando venivo qui da bambina superavo nientepopodimenochè la Cortina di Ferro, mica pizza e fichi e tutti di qua e di là che si preoccupavano. Gli italiani perché andavo in un paese del socialismo reale e a seconda delle inclinazioni personali dillà o si mangiavano i bambini o splendeva il sol dell’avvenire e da bambina fai fatica a spiegare che no, tu in fondo vai a trovare i nonni e gli infiniti zii. Che giochi nei giardino tra i palazzoni con infiniti bambini e che quando decidevamo di andare in piscina si partiva al mattino in gruppi da trenta, ognuno con il suo asciugamano, panino e qualche zloty per pagarsi l’ ingresso e la pepsi.

Perché tra i misteri del socialismo reale c’è che in Polonia c’ era la Pepsi che si produceva in loco su licenza e quindi a me è rimasto quest’imprinting qui, la coca per favore la beva qualcun altro.

“Ma non e’ pericoloso?” chiedevano. No, non mi pare. Vero che me lo chiedeva gente per cui andare da Sulmona al mare a Silvi era già un’ avventura.

“Ma tu vivi in Italia, e avete il terrorismo e le Brigate Rosse, ma non e’ pericoloso?” chiedevano dillà. No, non mi pare, io vivo in Abruzzo e la cosa più vicina che sapevo era il tema sul rapimento di Aldo Moro che ci fecero fare e a cui io mi ribellai ferocemente, perché non e’ una cosa seria a 8 o 9 anni dover fare un tema sul rapimento di Aldo Moro, scusatemi.

Insomma, queste robe qui.

Poi fecero papa Giampaoletto II, e si scoprì che esisteva, vivaddio, la Polonia. Noi che andavamo in udienza e abbiamo pure la foto del papa che solleva e sbaciucchia il mio fratellino biondo e tondo, che se poi nella vita ha avuto sfiga un motivo ci sarà, se uno è superstizioso (“Ma quanto assomiglia al papa Italo”, dicevano a Tortoreto. Eccerto, faccia da polacco tutti e due.)

Poi venne Solidarnosc e al mio liceo i ciellini facevano grandi manifestazioni e toccava spiegargli che la bandiera polacca la mettevano sottosopra ed era meglio se la rigiravano. E per tigna andavo in giro con la spilletta di Solidarnosc addosso.

Poi decisi di farci un semestre universitario come libero auditore alla facoltà di russo dell’UJ, che si legge ujot e sta per Universitas Jagellonica, che con la facoltà di russo non finì tanto bene, ma con la meravigliosa biblioteca universitaria si. E conobbi i catalani con cui ci facemmo una retrospettiva di film di Almodovar, e le italiane che stavamo sempre a fare le commari.

E vivevo con i miei nonni ed è stato un privilegio conoscere da quasi adulta i miei nonni vecchi, che da bambina sono i tuoi nonni, ma un po’ come le figurine del presepe. E mio nonno, che forse l’eta’, finalmente si sbottonava e ogni tanto mi raccontava dei campi di concentramento, di cui non aveva mai fatto parola a nessuno fino a che il suo amico una volta in pensione decise di scrivere un libro di memorie in cui parlava anche di lui e lui ne compro’ una copia per ognuno dei quattro figli. Così si risparmiò di dovergli raccontare.

In quel periodo cadde pure il muro di Berlino. Poi si sposò mio fratello e andò a viverci lui, e quanto l’ho invidiato per quello.

Perché se c’ e’ un altro posto in cui io mi sento perfettamente a casa è Cracovia, che quando passo in centro e vedo un’ ottica Voigt io lo so che il vecchio Voigt era un caro amico di mio nonno (erano stati insieme al campo) e che il figlio mi aveva ancora misurato delle lenti a contatto. Quando passiamo sula Starowislna io lo so ancora quando si chiamava via degli Eroi di Stalingrado, e poi siamo tornati al nome di prima della guerra, che era anche l’ unico che si usava a casa mia.

Io quando vedo passare un tram con capolinea cimitero Rakowicki lo so che li sta sepolta mia bisnonna Regina, quella che ha risparmiato una vita per far comprare al marito fornaio un forno suo, e lui uscì per comprarlo, sparì per una settimana e al ritorno se li era bevuti tutti.

E quando andiamo a spararci una cioccolata calda in piazza in quella che è una nuova cioccolateria figa, ma prima era solo il negozio delle cioccolate e torte al cioccolato e wafer di E. Wiedel, be che c’entra, ho appena saputo che mia nonna è entrata a lavorare in quella fabbrica a 12 anni, che al lavoro poteva mangiare tutto quello che voleva e forse per questo è poi cresciuta e si è sviluppata in quel periodo a forza di cioccolato e burro, e che le dispiaceva di non poter portare niente a casa per i vari fratellini, allora il sabato le si macchiava il grembiule di cioccolato fuso, lei lo arrotolava per portarlo a casa a lavarlo e a casa, staccavano i pezzi di cioccolato così che anche i bambini potessero mangiarne un po’. E il padrone che le diede responsabilità e le chiavi e la mandò a scuola due giorni alla settimana a spese sue.

Oggi mi sono fatta un bel giro in città, a piedi e in tram con mia mamma, e abbiamo tirato fuori altri strati.

Ci vorrà un po’ ma questa torta mi sta lievitando da qualche parte nella pancia e ci ricordiamo tutti come e’ andata la volta scorsa, quando mi giravano intorno troppe storie stratificate.

Il mio buon proposito per il 2012 è di infornare la mia guida sentimentale di Cracovia. Non diventerò mai un grande romanziere, ma conosco un sacco di storie.

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