Oorlog in mijn buurt è un progetto scolastico che fa intervistare agli scolari di Amsterdam gli anziani che durante la guerra vivevano nel loro quartiere, o forse addirittura nella stessa casa. I racconti relativi al nostro quartiere sono qui, e stamattina, già che ci eravamo. Orso e la sua nonna polacca a colazione si sono raccontati le storie reciproche. La sua classe ha intervistato una signora sopravvissuta ai campi, e lui le ha chiesto dopo la guerra chi era rimasto che lei conosceva da prima. E lei dice di aver girato Amsterdam in bicicletta per tre giorni, senza incontrare nessun conoscente, tranne il suo dentista.

Mi madre gli ha raccontato che lei è nata nel 1943 e che all’ epoca suo padre era stato incarcerato a Montelupi, la prigione di Cracovia, e non sapeva se ne sarebbe uscito vivo o meno (poi ne uscì per spararsi un paio di campi di concentramento). E allora dalla finestra aveva lanciato un biglietto chiedendo a chi lo trovasse di far sapere a sua moglie che al tale giorno e ora sarebbe venuto alla finestra, di portargli a vedere la bambina.

E mia nonna aveva paura di andarci da sola con tutti i tedeschi in giro per Cracovia, chiese a zio Tadek, suo fratello, di accompagnarla e con la carrozzina andarono sotto Montelupi, e lei sollevò mia mamma per fargliela vedere.

Quando suo padre tornò dai campi, uno alto, magrissimo, stranito e senza capelli, lei aveva 3 anni, non lo conosceva e questo sconosciuto all’ inizio la spaventava moltissimo. Grazie agli amici socialisti Ludwig (perché mio nonno si chiama Ludwig e ci ho provato a suggerire a maschio alfa a suo tempo di chiamarlo un figlio Ludovic*, o almeno Ludin* e si è rifiutato, non so perché) era finito a fare il servizio in cucina e ogni notte, di nascosto, imboscava una ciotola di zuppa sul tetto di una baracca. Grazie a questa zuppa, per la quale rischiavano entrambi la pelle, se scoperti, il suo amico è sopravvissuto anche lui al campo.

Solo che questa storia mia madre e le sue sorelle e il fratello lo hanno saputo solo da adulti, quando questo amico sopravvissuto ha scritto un libro in cui raccontava le sue esperienze del campo e parlava anche di mio nonno. Mio nonno non ha mai parlato di quello che è successo, tranne alla fine da vecchio, l’inverno che io a 22 anni ho trascorso con loro per studiare a Cracovia, che ogni tanto mi diceva all’improvviso qualcosa.

E insomma stamattina Orso e mia madre si stavano scambiando i ricordi di guerra del nonno e della signora intervistata. E magari se in questi giorni non avessero avuto il progetto a scuola forse non avrebbero avuto la scusa per farlo. E visto che i nonni che durante la guerra erano già nati un po’ alla volta ci stanno finendo, trovo importante che ci si parli, ci si faccia raccontare e si ricordi bene alla gente come stavamo messi anche noi europei, con i nostri dittatori, i nostri bombardamenti, i nostri profughi e i paesi che li hanno accolti o respinti, perché la storia si ripete e dopo un po’ l’ umanità ricomincia a fare gli stessi errori.

E io sinceramente della guerra e dei profughi che stiamo respingendo noi adesso continuo a non sapere bene come raccontarne ai miei figli. Meno male che abbiamo ancora mia madre che gli racconta della sua.

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