Comincio con una barzelletta belga:
qual è la definizione di una persona che parla due lingue? = bilingue
qual è la definizione di una persona che parla una lingua sola? = Vallone
che notoriamente in Vallonia, la parte di lingua francese del Belgio, pochi, ma diciamo pure nessuno, sa il fiammingo, alla faccia di chi crede che il Belgio sia un paese bilingue.
Parliamo anche dell’approccio scientifico: c’è chi sostiene che il bilinguismo perfetto non esista e in piccola parte ha ragione, quantomeno non è una cosa che salti fuori spontaneamente, bisogna lavorarci molto, signora mia.
Allora, io sono la tipica bilingue mancata. Mia madre, che era appena arrivata in Italia quando sono nata, ha spontaneamente cominciato a parlarmi polacco e questa è stata anche la mia prima lingua, sebbene vivessimo a Sulmona. Ciò fino al giorno sono corsa verso un gruppo di bambini per giocarci, chiamandoli in polacco, loro mi hanno guardato strano o si saranno messi a ridere e da allora è finita. Questa è la componente peer pressure, cioè che dai 4 i 16 anni, non ci illudiamo cari genitori, lo sviluppo linguistico di bambini e ragazzi passa per il prestigio attribuito a una lingua, gergo o espressioni da parte dei coetanei.
Un’altra cosa che mi è stata tanto tra i piedi era l’ambiente sfavorevole: cresciuta in Abruzzo, un paesino di pescatori dove tutti erano parenti tra loro, tranne io, che già bastava ad essere emarginati, io e mio fratello siamo stati definiti i polacchetti da sempre, ed è una cosa che i bambini odiano. Essere diversi dagli altri. Ci vergognavamo spaventosamente di mia madre, anche se lei è sempre stata molto apprezzata a scuola e nel circolo del vicinato. Facevamo cose strane, avevamo feste strane e abitudini strane.
Non a caso la mia migliore amica all’epoca, oltre ad averla ereditata che anche le nostre nonne e i nostri padri erano amici, aveva la mamma tedesca. Quindi questo ci accomunava e ci accomunava soprattutto il fatto di meravigliarci di meno delle abitudini diverse degli altri, anzi, lì entrava in gioco la comunanza nella diversità. Aggiungiamoci che non è che in famiglia le cose andassero meglio. Mia nonna, santa donna, ma per una serie di complessi suoi, la mother in law from hell, aveva il terrore che se parlavamo in polacco era per parlar male di lei (come se con mia mamma non ci divertissimo da matti per conto nostro con battute e giochi di parole).
Mio padre, ecco, a lui questa cosa la rimprovero, non ha mai incoraggiato le cose, addirittura insisteva che mia madre ci insegnasse il russo, ma sul polacco era sempre un pelo sarcastico. Per questo io non sopporto l’ignoranza che si difende ridicolizzando chi quel paio di cose in più le sa, non devi fargli l’inchino, ma i fatti tuoi, magari?
Quanto ho odiato mio fratello, che sposatosi e aperta una ditta in Polonia giovanissimo, in un anno parlava e scriveva in modo fantastico. Ma al cuor non si comanda, e io mi sono sposata un olandese, la cui lingua che mi è stata antipatica per un bel po’ di anni (poi l’ho superata, si supera tutto, diciamo che anche se io non lo propongo per prima a volte mi capita di fare da interprete verso l’olandese anche da lingue mie seconde, e me la cavo benissimo).
Ambiente
Fatto sta che i nostri figli trovano sia la cosa più normale del mondo che con papà si parla una lingua e con mamma un’altra, e che a volte anche gli amici di mamma e papà parlano quelle lingue tra di loro. Persino gli amichetti al nido lo trovavano normale.
Le radici son sommerse ma non vanno mai perse
Poi i suoi si sono fatti un circolo di amici che parlavano spagnolo, i cui figli anche lo parlavano con i genitori, sono andati una volta a trovare i nonni, e ben presto ha ripreso il livello d’ingresso richiesto dalla scuola spagnola.
Ma il mio accento italiano lo affascina talmente tanto, che delle volte mi sfotte parlando spagnolo con il mio accento.
“Per colpa tua ho un figlio che parla come un argentino”, mi fa il padre disgustato.
Anche per questo ho insistito tanto per metter su la scuola di italiano per bambini. In realtà per un certo periodo ho approfittato dell’amica Cinzia, e di suo figlio, poco più grande di Ennio. Pur non conoscendosi, sono immediatamente andati d’accordo secondo me anche per quel senso di familiarità che dà loro la lingua non dominante in comune. Nei miei figli il processo è chiarissimo, chiunque in Olanda parli italiano lo considerano un parente.
È un mestiere duro, ma ci tocca
Voi insistete, sicuramente nel momento dell’ingresso a scuola, o dell’interazione con altri bambini, tipicamente fra i due e tre anni, c’è questa fase in cui i bambini cercano di tornare alla sola lingua dominante. Ma voi, imperterriti, continuerete nella vostra.
E quando parliamo con estranei, mi chiedono? Ragazzi, i bambini non sono stupidi, sono molto più furbi di noi. Se c’è un motivo funzionale per parlargli olandese, perché siamo compresi in una conversazione con gente che non parla italiano, lo capiscono che è una situazione particolare. Oppure dite all’interlocutore: scusami tanto, adesso devo dire una cosa a mio figlio nella nostra lingua. Chi volete che si offenda? (Una persona limitata, e quelle evito di farle frequentare ai miei figli).
L’amico Roberto, fine pedagogo anche lui e che tra l’altro ha lavorato 11 anni nei nidi olandesi e ne ha visti di bambini da 0 a 4 anni, è stato quello che mi ha sostenuto più di tutti moralmente nel periodo in cui almeno 9 insegnanti diversi dell’asilo cercavano di convincermi che Ennio avesse un ritardo nello sviluppo, tare caratteriali e che il suo ingresso scolastico sarebbe stato un inferno.
Non ci credevo, ma stavo per stressarmi di brutto (leggetevi l’autunno 2006, per avere un’idea) perché noi madri di figli 2-3enni, che allattiamo il piccolo e da tre anni non ci facciamo una notte tranquilla di sonno, siamo prede facili per chiunque, se ci toccano il benessere dei figli, e tendiamo molto ad accollarci tutte le colpe. Soprattutto quando te lo senti ripetere 3 volte al giorno.
Bene, l’amico Roberto, una sera a cena a casa nostra, che stava parlando olandese con una signora, si sbaglia e si rivolge in olandese ad Ennio che lo aveva sempre sentito parlare in italiano con lui. Lo sguardo di mio figlio è stato un poema: lo ha guardato come se fosse improvvisamente impazzito.
Come cavolo ti viene in mente di parlarmi olandese, proprio tu, che ormai mi sono abituato a parlarti solo in italiano?
Ecco, questa è la regola, non aspettiamo che siano i nostri figli a ricordarcela, dalla prima ecografia parlate con i vostri figli la lingua che vorrete che parlino con voi in futuro. È la cosa più semplice e naturale, e l’unica di cui non vi pentirete in futuro.
E ricordate anche questa: è scientificamente provato che i multilingue hanno 2 punti in media di più di IQ per ogni lingua extra. Il che a mio parere è strettamente collegato a quella ricerca che anni fa constatava quanto premi Nobel, in percentuale, fossero ebrei. No, non era il complotto giudaico internazionale, è che spesso gli ebrei si sposano tra loro anche se nati in paesi diversi, e che comunque una volta parlavano yiddisch in casa e la lingua del paese in cui vivevano fuori. Erano bilingue di default.
Il che giustifica una risposta datami da Sebastiano Vassalli una volta che gli chiesi se lui avrebbe ritenuto possibile, come tanti altri scrittori, poter scrivere direttamente in una lingua diversa dall’italiano. Mi interessava sapere se lui ce l’aveva una lingua del genere. Mi ha risposto stranito che secondo lui è impossibile e che tutti questi scrittori bilingue in fondo non esistono (io avevo citato Conrad, per dirne uno).
Ecco, questo è tipico di chi cresce in un paese strettamente monolingue, come lo sono la maggior parte dei paesi europei. Che proprio non ci rendiamo conto dei mondi possibili che esistono di fuori. (Anch’io ero così, prima di andare a studiare all’estero). Ma ai nostri figli possiamo regalare il mondo. Ed è pure gratis, perché non dovremmo farlo?
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