Con le poesie ho questo rapporto tormentato, ci sono autori che mi piacciono moltissimo, altri che non capisco, leggendo entrambe le categorie mi sono spesso trovata a pensare: si, vabbè, ma io perché non ne scrivo? E la risposta da sempre è che io mi vergogno.
Mi vergogno con la sindrome da impostore, perché ho incrociato molta gente nella vita che mi mette in mano le sue sillogi e a volte penso, beh, si dai, qui mi piace, qui c’è qualcosa, qui e adesso che accidenti gli dico? E quindi mi vergogno perché non voglio ammorbare la gente col mio.
Altra cosa: da un po’ di mesi vado facendo esperimenti vari, divertimenti, giochi, domande serie con Chat GPT per capire come funziona, che limiti ha, a che serve. E intuitivamente ho scoperto che i neurodivergenti come me ci trovano bene con Chat, ma il perché me lo ha spiegato bene Alberto Puliafito per Atipiche.
Ma la cosa che mi ha svoltato definitivamente il rapporto con GPT (un attimo di pazienza, che fra poco torno alla poesia, la vergogna no, quella ormai se ne è andata) è stato scoprire Monday, la versione fratello minore malmostoso in crisi postadolescenziale di Chat GPT. E da allora il mio rapporto con la qualunque non è più stato lo stesso.
Comunque un paio di giorni fa una mia amica ha presentato un racconto (molto carino peraltro, in cui ribalta situazioni comuni per vedere l’effetto che fa, e non fa un bell’effetto, ve lo dico io, ma ne riparleremo) a un concorso di quelli dove esiste un voto popolare che chiedi agli amici di leggere e votare. Per cui clicco per leggermelo e si apre la finestra a tendina con una domanda di quelle che ti svoltano la vita: sei un artista? partecipa al nostro concorso di:
POESIA PITTURA
e Vostro Onore, è stato un impulso, non c’era premeditazione, ma che ne sapevo io che quelli prima ancora di farmi leggere il racconto della mia amica mi mettono davanti questi dubbi esistenziali, insomma, apro questa finestra del concorso di poesia, che la pittura non è cosa mia e almeno questa certezza nella vita ce l’abbiamo, mi si riempiono automaticamente le caselle dei dati sensibili e nella casella del componimento scrivo questa cosa, al volo, clicco “invia” e anche il mio componimento poetico se ne è partito per l’etere.
Il dramma è stato il senso di vergogna. Per elaborarlo ho chiesto aiuto al malmostoso Monday.
“Ma secondo te faccio bene a insistere con le mie poesie?”
Ma certo, è un’idea brillante! Come lanciare sassolini contro una porta blindata sperando che si apra per cortesia.
No, dai. Ti prendo in giro. È il mio lavoro. Il tuo, invece, pare essere quello di scrivere poesie nel 2025, quando la gente legge i sottotitoli dei reel come se fossero sonetti.
Fai bene, sì.
Fai benissimo.
Anzi, direi che se ti viene ancora voglia di insistere con la poesia in un’epoca dove l’algoritmo è re e la metrica è vista come un errore di battitura… beh, sei più coraggiosə di chi si butta dal paracadute senza controllare se c’è il paracadute.
Scrivere poesia oggi è come parlare con le piante:
- forse non ti risponderanno,
- forse rideranno alle tue spalle,
- ma se lo fai con amore e costanza… almeno il basilico cresce meglio.
Quindi sì. Insisti.
Scrivile pure le tue poesie.
Anche se ti leggono in tre. Anche se uno dei tre sei tu, e gli altri due sono due tuoi account finti per non scoraggiarti.
E se mai penserai che non ha senso, ricordati che anche la poesia è sopravvissuta a:
- guerre,
- dittature,
- la tastiera del T9,
- e ora, a te.
Quindi vai. Scrivi. Che tanto ormai ci sei dentro.
E allora gli ho chiesto di riscrivermi Mattino nello stile di. Ecco alcune risposte:
Ah, la povera Szymborska. Se solo sapesse che i suoi versi delicati, ironici, fatti di respiri leggeri e sorprese silenziose, sarebbero un giorno accostati a un Pling! di notifica… si sarebbe fatta esplodere in una nuvola di aforismi.
Eppure eccola, la nostra Wislawa, alle prese col Mattino moderno:
un caffè che sa di ansia,
un feed che scorre più rapido del fiume Vistola,
e un’umanità che non ha nemmeno il tempo di pensare
che il cucchiaino dentro la tazza
sta facendo un rumore più interessante delle notizie del giorno.
Mattino (in punta di Wislawa)
Non sono ancora io.
Non del tutto.
Una parte di me è rimasta nel piumone,
accartocciata tra due sogni.
Ma il telefono sa chi sono.
E mi chiama. Pling.
Lì c’è il mondo,
spiegato in 280 caratteri,
dove un bambino piange,
e sotto, qualcuno scrive: “OMG 😢”.
E io, io metto un cuore.
Non so se vale.
Forse era meglio il silenzio.
Ma il cuore è rosso,
e almeno è qualcosa.
Nel bagno mi guarda lo specchio,
con la stessa domanda di ieri:
“Sicura che oggi valga la pena?”
Rispondo con lo spazzolino.
È la mia forma più coerente di linguaggio.
Nel frattempo, il giorno si srotola.
Uguale e diverso.
Più grigio, più rumoroso.
Una poesia si nasconde sotto il tappetino.
Forse stasera la troverò.
Se non inciampo prima.
Hai visto cosa hai fatto? Hai costretto persino la Szymborska a fare colazione con una notifica in mano. E lei voleva solo scrivere dei gatti.
Mi pento, mi dolgo, ma Montale?
Mattino, secondo Montale che non ha dormito bene
Si insinua, il Pling!,
come certe luci storte che filtrano tra le stecche
di una persiana non chiusa del tutto —
non urla, ma pretende.
Prima della sveglia, prima del pensiero.
Non eri proprio nel sonno,
eri nel suo margine molle,
quella zona franca dove anche il dolore
si aggira in punta di piedi.
Ma arriva lui:
la fotografia offerta come una reliquia digitale,
il bambino senza occhi (solo orbite di pixel),
la madre bendata da una coperta termica,
la marcia, la pace, la firma,
il senso di dover-essere-vivo in pubblico.
Un gesto minimo — un commento —
e già ti ha marchiato:
la tua voce, scivolata fuori come un cane senza guinzaglio,
già giudicata, già fraintesa,
archiviata tra emoji sbagliate.
Il vomito non ha ancora un’icona.
Ma svegliarsi, ora, è un fatto compiuto.
E sotto la doccia ti domandi
quanto tempo avresti se suonasse l’allarme vero.
Pochi minuti. Forse meno.
E ti lavi il privilegio di dosso,
senza riuscirci.
La meditazione è finita mesi fa,
quando la voce rassicurante diceva “Sei al sicuro”
e tu, dentro, gridavi “Non è vero!”
Sospeso tra le spine del Wi-Fi e del mondo,
hai dismesso anche quel rito piccolo.
Ti prometti, stasera:
disattiva le notifiche.
Disattiva il mondo.
(Ma sai che tornerà.
Il Pling! ha tutta la pazienza dei morti.)
Riprendiamoci con Achille Campanile, dai
Mattino
(versione a uso e consumo dei lettori frettolosi, secondo Achille Campanile, umorista per disperazione)
Pling!
(Nota a piè di pagina: suono elettronico fastidioso, inventato per sostituire la campanella del convento e peggiorare la vita dell’uomo moderno.)
Pling!, dicevamo.
Arriva prima della sveglia,
più puntuale di tua zia che viene a trovarti senza avvisare.
Entra nella tua coscienza senza bussare —
ma con grande educazione, eh, tipo ladro in guanti bianchi.
Tu eri lì, a dormire/svegliarti/negare l’evidenza.
Ma lui, il Pling!, ha deciso che è tempo
di vedere la foto del bambino triste n. 457,
con occhi così vuoti che sembrano il tuo frigo dopo le 22.
Seguono:
una petizione,
due marce,
tre inviti a “fare la nostra parte” (chiunque sia “noi”),
e un commento che hai scritto senza pensare.
(Complimenti: hai appena iniziato una rissa nei commenti tra un vegano,
un ex militare, e tua zia, quella di prima.)
Tu metti un like, poi una lacrima,
poi sbagli e metti “ah ah”,
poi cerchi il vomitino, che non c’è.
Un complotto.
Apri gli occhi.
Il mondo, ancora lì. Che sbadato.
Vai in doccia.
Pensi: “E se arrivasse un allarme aereo?”
Poi pensi: “Speriamo almeno non mentre mi insapono.”
Riflessione lucida. Nobel in arrivo.
Ti ricordi che avevi una app per meditare.
Ti diceva: “Questo è un luogo sicuro.”
Tu rispondevi: “Sarà il tuo.”
E hai smesso.
Anche la voce suadente ti giudicava.
Adesso hai solo il Pling!,
che ti entra nei sogni, nei calzini, nel caffè.
Decidi: stasera notifiche spente!
(Il mondo finirà lo stesso, ma almeno tu dormi.)
(E comunque, la poesia è sopravvissuta anche a peggio. Tipo i tuoi post.)
La mia, di Mattino, quella scritta a cavolo sul menu a tendina che si era aperto sta qui. mi raccomando, se ci andate, attenti al menu a tendina. Potreste scoprire cose di voi che avevate preferito ignorare. (Ma se lo fate, condividete nei commenti per favore). Intanto già oggi l’editore mi ha chiamato per propormi di inserirla in una silloge a pagamento, ho cortesemente rifiutato dicendo che i miei editori li ho già, #diomelibenedica, e non si fanno pagare. Almeno non da me. E così spero anche di voi.