Dopo le discussioni sull’alternanza scuola-lavoro in Italia volevo dire come funziona qui, visto che figlio 1 ha appena concluso lo stage sociale della sua scuola. Insieme a due compagni ha scelto di farlo all’Amsterdamse Bos per aiutare i guardaboschi.
La scuola ci aveva informati per tempo delle finalità dello stage e noi genitori, figlio e l’ente ospitante abbiamo stipulato un contratto. La condizione fondamentale era che si trattasse di una organizzazione non-profit, poi quale fosse se la poteva scegliere lui.
All’inizio aveva pensato lui stesso di farlo per qualche organizzazione che si occupasse anche dell’Italia (“Mamma, posso chiedere alla libreria italiana?” “Troppo tardi, ha chiuso”), poi alla fine ha fatto, deciso e scelto tutto da solo. La scuola aveva alcune proposte per chi non fosse riuscito a trovare niente, perché in fondo lo sappiamo tutti che avere degli stagisti, specialmente non qualificati e così giovani, per qualsiasi organizzazione significa di fatto che una persona almeno si deve occupare di tenerli impegnati secondo le regole, invece di fare in santa pace il proprio lavoro.
Ma la fortuna è che ad Amsterdam ci sono parecchie associazioni sportive, ricreative e culturali che già lavorano grazie ai volontari e che spesso hanno proprio dei programmi pensati in collaborazione con le scuole. Sul sito del comune relativo all’Amsterdamse Bos c’è per esempio una pagina apposita.
Un paio di settimane fa i ragazzi dopo la scuola sono andati al centro che gestisce il parco per un’intervista e capire meglio di cosa si trattasse, dopo di che abbiamo compilato il suo modulo online per il contratto e lunedì hanno iniziato.
Ovviamente la madre di famiglia capisce lo scopo formativo e tutto, ma dentro di sé, conoscendo il proprio pollo si diceva: “e proprio tu ti dovevi scegliere uno stage praticamente fuori città e dal lato opposto rispetto a casa nostra?” Di fatto il punto del parco in cui ha lavorato è quasi all’aeroporto, ma è formativo anche quello. Se la madre di famiglia no si emtte di mezzo mossa a compassione.
Infatti la creatura ci ha provato: “Mamma, ma è talmente lontano, in bici ci metto due ore, tu mi potresti accompagnare in macchina?” “No”.
(Poi il primo giorno ce l’ ho accompagnato, ma solo perché dopo la debita sveglia alle 6 io mi sono riaddormentata e svegliata di soprassalto alle 8.10 e alle 8.30 entrambi i figli dovevano essere a scuola e allo stage e che deve fare una povera mamma?)
“Ma veramente mi hai svegliato alle 6? Non mi ricordo niente. Giura.”
“Ma se mi hai pure risposto e garantito che facevi da solo e che mi potevo rimettere a dormire.”
E questa è stata la cosa più utile dello stage: capire come arrivarci in orario, con i mezzi pubblici già complicati di loro che ti portano all’ ingresso del parco, ma poi 3 km. al suo interno te li devi fare da solo (e considerato il gran numero di genitori che portavano bambini piccoli alle attività sulla natura che ho visto quella prima mattina, avevo persino pensato di fargli fare l’autostop all’ interno del parco, ma anche no).
Così il secondo giorno ci siamo studiati il percorso più breve in bicicletta – ha preso la mia, sia ben chiaro – e gli ho consigliato di legarla bene all’ingresso del parco e tornare con l’autobus, almeno ce l’aveva lì. Ma non si è fidato e l’ ha parcheggiata a scuola, dove con i mezzi comunque ci mette un’ora ad arrivare. Lezione numero due, vedi di non farti rubare la bicicletta.
Ma si è arrangiato da solo, ha fatto tutto da solo, ha imparato ad arrivare in orario, a lavorare con le protezioni fornite (stivaloni di gomma e guanti da lavoro), a prepararsi e portarsi da mangiare e bere da dividere con i compagni e l’ ultimo giorno è rientrato con una casetta per uccelli da mettere in giardino, inchiodata dalle sue manine sante.
Ha imparato a tagliare le cannucce sulle rive degli stagni e gliele hanno fatte trasportare via, accumulandole ai lati del sentiero dove il contadino preposto le avrebbe ritirate con il trattore per farne foraggio.
A me la parte educativo-sociale dello stage è sembrata proprio questa: hai imparato a gestirti dei compiti fuori dall’ambiente protetto di casa e scuola.
Diciamoci la verità quando mi ha chiesto consiglio per cercare uno stage, io me lo stavo vendendo a tranci al teatro Korego, con Carmelinda che ben volentieri gli avrebbe insegnato a fare il direttore di scena per gli spettacoli e a usare un mixer luci e tecnica varia. E visto che vuole fare lo youtuber, a me sembrava anche bello e utile. Ma sarebbe stato trattato come mio figlio da una quasi madre, e sono contenta che alla fine si è gestito tutto da solo con gli amici, che già andarci insieme e fare un lavoro fisico all’aperto mi sembrava meglio per lui.
Ha fatto cose utili per il comune, per un parco di cui fruiamo anche noi e la scuola che ci organizza i pic-nic di fine anno. Ha capito bene cosa significa tenere in ordine e pulito un luogo di tutti.
Altri ragazzini hanno potuto scegliere di aiutare in una casa di riposo (e lì, secondo me, anche se gli fanno lavare i piatti la cosa ha un senso), di fare i galoppini al Cinekid, una rassegna cinematografica per bambini, aiutare nella loro vecchia scuola elementare per le lezioni di ginnastica, o al loro club sportivo. In questi contesti secondo me un lavoro di bassa manovalanza ha senso, perché comunque sono istituzioni in cui impari a metterti al servizio della società e degli altri.
La stessa cosa, in un contesto commerciale, come ad esempio in Italia quando riferiscono di quei progetti in cui svolgi un lavoro non qualificante per una società commerciale, che grazie agli stagisti delle scuole evita di assumere e pagare uno stipendio a qualcuno, ha un significato molto, ma molto diverso e non dobbiamo credere che i ragazzini non lo capiscano. E non ne traggano le loro conclusioni.
Quindi rendiamoci conto che si, ospitare stagisti di fatto è una scocciatura e un impegno e che per farlo bene ci vogliono più persone che coordino il tutto. Che la buona volontà è una bella cosa ma che occorre essere attrezzati e organizzati. E che comunque è una cosa bellissima e utile e che se come società ci crediamo, allora dobbiamo anche impegnarci in prima persona a lavorarci e istituzionalizzarlo.
Alle elementari figlio 2 ha fatto uno “stage” presso un’azienda, ma dato che avevano 12 anni, si trattava più che altro di una cortesia, poco più che offrirgli di visitare la sede in maniera approfondita, e annusare l’aria e prendere il caffè nella pausa insieme a chi ci lavora per capire se magari ti poteva interessare iscriverti a una scuola superiore con sbocchi in quel settore lì. che anche già così è una cosa importantissima.
Ma è comunque bellissimo che ci siano adulti che si impegnano in questo e sarebbe ancora più bello se in Italia, legalmente, si potessero mandare i quindicenni a bottega, perchè a quell’età il guadagnare due soldi ti motiva a uscire di casa, guardarti intorno e capire come gira il mondo. Ma mi dicono che rispetto ai miei tempi ormai sia illegale. E la vera occasione secondo me è questa.
Non è proprio tutto negativo come la fanno apparire i giornali … nel liceo di mio figlio alcuni hanno fatto il CRE in parrocchia quest’estate (campo estivo), altri sono andati alle elementari e medie ad insegnare la loro materia di indirizzo (in questo caso informatica), altri ancora con la Protezione Civile hanno ripulito il corso del fiume che percorre la nostra valle, molti altri sono andati in aziende dove saranno andati alcuni bene e alcuni male….
Come sempre alla tv e sui giornali si evidenziano solo le cose che sono andate male, tipo malasanità, e non quelli che invece hanno imparato qualcosa
Ciao
Betty