Questo è un libello amicorum scritto per l’amica D.
Introduzione
Quando portavo la coppa D pesavo 15 chili di meno
Quando portavo la coppa D ero una bonazza. Ora sono una bonazza al quadrato
Quando portavo la coppa D le tette ed io arrivavamo insieme. Ora mi si vede 5 minuti dopo
Quando portavo la coppa D non immaginavo neanche che esistessero i reggiseno riduttori
Quando portavo la coppa D mettevo i reggiseno a balconcino. Per esagerare
Quando portavo la coppa D non me la menavo tanto
Quando portavo la coppa D ero single
Quando portavo la coppa D non spendevo in reggiseno l’equivalente dell’1% del PIL di un piccolo stato povero
Quando portavo la coppa D, non avevo i solchi sulle spalle che ho ora
Quando portavo la coppa D, talvolta, potevo permettermi un’uscita senza reggiseno
Quando portavo la coppa D…
Coppe A: potete pure schiattare
Fenomenologia del reggiseno
Il reggiseno, come il femminismo (che ai bei tempi li bruciava) è un’invenzione moderna. Per la femmina d’oggi, il primo reggiseno è un rito di passaggio. Rito per rito, sempre meglio dell’infibulazione. Ma la vera maturità si riconosce dal momento in cui una donna impara a comprare un reggiseno che le stia alla perfezione. Alcune non ci arrivano mai. Ma come diceva sempre mio padre:
“Chi prima, chi dopo, chi un po’ alla volta” (ma non si riferiva al reggiseno).
Sembra niente, ma se si fa caso ai materiali che ne costituiscono il contenuto, si capisce perché il reggiseno sia un’opera di alta ingegneria meccanica. Stiamo parlando di un sacchetto in materiale elastico e molto fragile, riempito di un quantitativo variabile di tessuti lipidici e acqua. Più si sottopone il sacchetto a stress, tensioni, manipolazioni o la semplice forza di gravità, più questo si allenta e comincia a penzolare da tutte le parti. È così grave? E chi lo sa. Come l’inferno, è tutta questione di fede. Chi ci crede ci finisce, chi è ateo no.
La forma del contenuto dipende in fondo tutta dalla gravità, si modifica, si sposta, aumenta, diminuisce insieme al peso corporeo complessivo. Se cresce troppo in fretta si riempie di smagliature che non vanno più via. Se diminuisce di peso, si riempie di grinze. Un po’ come quei collant che vengono lavati a temperature troppo alte e poi tirano al cavallo e fanno le pieghe alle caviglie. Non so se avete presente. Per capire bisogna avere dimestichezza intima e quotidiana con collant e reggiseno in azione, non tutti ce l’hanno.
Insomma, se il reggiseno stringe troppo, il contenuto si schiaccia, assume forme innaturali, rischia di sparire alla vista. Se non tira su abbastanza, allora è inutile spenderci una lira, non serve. Un quesito apparentemente irrisolvibile, po’ come il sesso degli angeli.
Un buon reggiseno si riconosce dalla sua discrezione, fa il proprio dovere senza che il seno in questione neanche entri in campo. Per esempio, io mi chiedo dove compri i reggiseno Condoleeza Rice. Sono perfetti, ti scordi persino che sotto quei tailleur c’è una femmina. E non ci credo che Condi abbia una coppa A o B, no, no, non è tipo.
Un ottimo reggiseno va un gradino più su. In questo caso non esistono dubbi che la portatrice sia una donna, nossignore: ma si notano le tette, non il reggiseno.
Un cattivo reggiseno si fa notare in absentia: una pensa immediatamente: “Ma perché questa donna non si mette un reggiseno come si deve, che starebbe tanto meglio?”
Quanto detto, vale indipendentemente dalla taglia: dalla coppa A alla FF i postulati suesposti sono sempre validi.
Poi ci sono i reggiseno che piacciono agli uomini: sempre di due taglie troppo piccoli, che strizzano le tette in fuori con pericolo che il capezzolo schizzi via. Ma a loro piace così, e a caval donato… Fateci caso, il buyer di tutti i costumi delle ballerine, veline e bellezze al bagno varie o è un uomo, o odia le donne, di solito entrambi, tipo Gianni Versace bonanima.
Insomma, il reggiseno ideale deve sorreggere, ma non strizzare, abbracciare ma non stringere, resistere a una mareggiata, ma non alle dita di un amante che tenta di slacciarlo. Il reparto Ricerca e Sviluppo della Playtex ha un budget maggiore del CNR, tanto per dire. Il dubbio socratico, amletico, nevrotico è: ma allora un buon/ottimo reggiseno deve per forza costare un patrimonio? Non necessariamente, ma aiuta.
Anatomia del reggiseno
Fondamentalmente esistono due famiglie base di reggiseno: quelli con il ferretto e quelli senza. Quelli senza sono più comodi, ma reggono di meno. Devono ovviare quindi con imbottiture, cuciture e scollo a lupetto. Diciamocelo chiaramente, un reggiseno scollato e senza ferretto, o ricade d’ufficio tra i cattivi reggiseno, o è una mosca bianca, o non va oltre la coppa A. Insomma, categoria “gabinetto delle rarità”.
Non a caso i reggiseno senza ferretto per eccellenza sono: o quelli sportivi o quelli da allattamento. Gli sportivi spalmano letteralmente il proprio contenuto tenendolo ben saldo e appiccicato al torso in modo che nessuna rotazione, circonduzione, salto e spaccata ne causino il benché minimo movimento. Per non correre rischi sono fatti di fasce elastiche imbottite, con scollatura ad Y sul dorso, che lascia le spalle libere. Le fighette che in palestra mostrano di avere un seno, non ne avranno per molto. Perché anche in questo campo prevenire è meglio che curare.
Quelli da allattamento sono molto accollati e sostenuti in basso, ma hanno il trucco dello sportellino. E poi diciamocelo, quando si allatta, con le montate lattee che schizzano da tutte le parti, i ritmi sonno-veglia sballati e gli ormoni che ballano, la cosa importante è non portare quelle magliette così strette che si vedono gli assorbenti del latte. Quella si che è una cosa orripilante, alla faccia di quelli che sostengono che la donna che allatta attizza. Attizzerà pure, ma è un concentrato di sindrome pre- e postmenstruale (strano, visto che giusto allora non si mestrua, sarà la legge del contrappasso) e di un gatto arrabbiato a cui tirano la coda. Meglio starle alla larga, non solo dalle tette, ma in generale. Insomma, è un problema che non si pone.
La naturale evoluzione del processo Post-Barbie sono invece i reggiseno da t-shirt. Praticamente con le coppe preformate realizzate nello stesso materiale con cui vengono rivestite le testate nucleari, perché dio ne liberi si veda la sagoma di un capezzolo, siamo rovinati. Il capezzolo ci ricorda che il sesso è un processo in cui entrano in gioco tessuti erettili, si suda e ci si scambiano fluidi corporei. Che schifo, meglio un po’ di sano sesso virtuale che almeno non ci si sporca. Praticamente il reggiseno di Lara Croft. Scomodi, sono di una qualche utilità solo a chi ha le tette piccole, che ci guadagnano con il mezzo cm. di spessore.
Conclusioni
Ma quanto sono più felice da quando non porto più la coppa D. Adesso porto la F. Voi no? Che peccato.
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