C’è questa signora che circola per la nostra scuola, sempre molto distinta, con i pantaloni dalla piega impeccabile, le scarpe eleganti ed i twin-set. È la direttrice dell’asilo-doposcuola. Io le dò del lei, cosa che nei Paesi Bassi neanche è scontatissima, ma certe persone hanno un’aura che te lo tirano fuori.
Poi il 1 luglio me la ritrovo tutta fresca ed estiva che neanche l’ho riconosciuta, e siccome il turchese è il mio colore preferito e io stavo facendo la sorveglianza a ricreazione e nello specifico aspettare fuori dal bagno un paio di morti, feriti e bisognosi, gliel’ho detto:
“Ma che bel colore fresco che ha oggi, con questo caldo proprio ci vuole”.
“Di solito al lavoro non mi vesto così ma è perché oggi è la festa dell’abolizione della schiavitù”.
“Ha ragione, il Keti Koti festival comincia oggi”.
Che ve lo volevo dire per tempo, ma era una settimana folle, quella, ma in Suriname il Keti Koti, la festa per l’abolizione della schiavitù è una cosa grossa. Ed è anche la festa surinamese più festeggiata in Olanda.
Poi cosa ci fosse di particolare nel suo abbigliamento, a parte il fazzoletto, io magari sul momento non ci ho fatto neanche caso, da quando i tessuti etnici imperversano più del quadrettino vichy e della riga regimental.
Però per lei, così elegante e formale sul posto di lavoro, sicuramente era un atto sovversivo. E allora le ho chiesto se potevo fotografarla per il blog.
E poi sulla schiavitù o meno, su mio padre servo bambino in campagna, su Pomigliano, sui co.co.co ci sarebbe così tanto da dire che è meglio se mi sto zitta.
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