Premetto dicendo che una delle cose espresse meglio sulla questione di Imane Khelif, anche se non approfondisce la questione degli interessi di parte di una federazione pugilistica di cui parlo nel prossimo post, la scrive Famiglia Cristiana.
Ho studiato in Canada in due momenti, nel 1992 e nel 1994, e di fatto passavo le giornate in biblioteca, girando tra gli scaffali, e leggendomi qualsiasi cosa attirasse la mia attenzione, indipendentemente dal fatto che avesse attinenza con quello che stavo studiando o facendo in quel momento. Come disse una volta un mio figlio a 9 anni, parlando di altro: è uno dei vantaggi dell’ADHD.
Seriamente, quella ferocia nel leggere di tutto che mi ha invasa fino a quando non ho partorito, ma con dei picchi incredibili quando ero molto giovane, quanto meglio sarebbe stata usata se solo avessi avuto a disposizione una biblioteca scolastica negli anni formativi e di fame di letture. Per questo non appena ho scoperto le biblioteche universitarie all’estero, ho trovato una mia dimensione di lettrice onnivora che mi mancava. Si trattava di luoghi magici aperti alla fiducia nei confronti dell’utente, in cui girare tra gli scaffali e scoprire cose che nemmeno sapevi che esistessero, prendere in mano una rivista scientifica, o un tomo, sfogliarlo, leggere l’indice, venir fulminata da qualcosa e passare le ore successive in ricerche collegate. Si, va bene, mi direte che è come navigare su internet, ma volete mettere la serendipità maggiore di aggirarsi fisicamente tra le pagine. Non so voialtri, con me funziona molto bene.
Chiunque abbia mai fatto ricerche per la tesi alla Biblioteca Nazionale a Roma, per dire, capisce di cosa stia parlando, e comunque sulla sfiducia e l’inaccessibilità delle biblioteche italiane verso gli utenti altri più qualificati di me hanno scritto, a partire da Umberto Eco, tanto per fare la citazione colta.
L’unica persona che conosco che sia riuscita a trattare con la biblioteca provinciale, per esempio, fu mia madre, che chiese un colloquio con il direttore per dirgli: “Senta, non potete prestarmi solo tre libri alla volta, io tre libri li leggo in due giorni, vivo in un paesino isolato sui monti in cui non c’è nulla, sono una pensionata, non posso permettermi di venire all’Aquila più di una volta alla settimana perché la benzina costa, lei deve consentirmi di prendere più libri alla volta in prestito, li tratto bene” e ci riuscì.
A me invece è toccato andare in Canada e il risultato di queste letture random nel 1992 e 1994 fu che mi capitarono tra le mani due studi, uno sugli errori da evitare nei confronti della popolazione colpita da disastri naturali da parte dei soccorritori e delle autorità, sia nell’immediato dell’evento che nel periodo di ricerca di normalizzazione successivo. Una cosa che anni dopo ingenuamente pensai fosse alla base dell’agire della Protezione civile, e invece dopo il terremoto dell’Aquila per anni ho visto calpestare le modalità più intuitive, anche col semplice buon senso, da parte dei “professionisti”. Una cosa di cui non mi davo e non mi dò pace. Ma sto divagando.
L’altro studio che mi cadde letteralmente in mano era sull’intersessualità e nello specifico sugli errori derivati negli anni ’50 e ’60 del 1900 da interventi medici precoci di “normalizzazione” di corpi di neonati e bambini di cui non si riusciva a capire bene il sesso alla nascita e ci torno su fra un attimo.
Ma tornando brevemente alle gioie della lettura libera e indiscriminata senza mutanda nelle biblioteche universitarie estere, perché queste gioie me le hanno regalate pure la biblioteca Jagellonica di Cracovia, quella di Groningen e quella di Amsterdam, quando tornando a casa riferii a mio fratello che finalmente ero riuscita a leggere Wodehouse, che adoravamo tutti in famiglia, in inglese, la sua reazione fu: “Ti prego, dimmi solo come si dice in inglese: sono costernato, signore.”
Ora in questi giorni di olimpiadi a Parigi e costernazioni vere o fabbricate ad arte da stampa e social media, noto che la questione dell’intersessualità sta tenendo banco, e sinceramente la cosa mi fa anche piacere visto che è uno dei fatti della vita con un solido corpus di letteratura medica in proposito, che però appare invisibile ai divulgatori e di conseguenza al grande pubblico. Ed è un peccato, perché statisticamente è un fenomeno più diffuso di quanto ci rendiamo conto e sempre statisticamente è facile che potremmo conoscere qualcuno che da genitore, figlio, diretto interessato o professionista medico-sanitario vi sia venuto in contatto. Ma non lo sappiamo proprio perché l’argomento è stigmatizzato o utilizzato ad arte per suscitare pruriti vari, vedasi il mito sul sesso di Amanda Lear quando eravamo piccoli noi.
Tutto quello che sarebbe utile sapere per entrare nella discussione con un minimo di nozioni base – e forse non ci interessano le nozioni base ma l’occasione di fare fuoco e fiamme su argomenti di cui non sappiamo, per cui che sto parlando a fare? – non solo me lo ricordo da quel famoso articolo di cui vi dicevo sopra, letto ne 1992 o 1994, ma da tutto quello che mi sono studiata a suo tempo quando stavo scrivendo La risposta del cavolo, la mia ineguagliata guida semiseria per genitori disperati alle domande dei figli su sesso e società, come recita il sottotitolo, in cui trovate un intero capitolo sull’intersessualità. Se volete acquistarlo questo è il link.
Comunque suggerisco anche questo articolo sulla rivista Nature che ne parla in modo semplice e comprensibile. è in inglese ma applicando gli strumenti di traduzione si capisce abbastanza bene.
Qui Repubblica spiega qual è il vero scandalo della questione di Imane Khelif.
Per il resto basta prendere atto che per le cose davvero interessanti nella vita, raramente esistono risposte semplici e binarie, visto che siamo persone e non una stringa di codice. Anche se quest’ultima può aiutarci a conoscere tante cose che non sappiamo. E allora approfittiamone.
Poi su quello a cui serve davvero concentrarci tanto sulla povera Imane Khelif per motivi che nulla hanno a che fare con le sue performance atletiche, ho scritto a parte qui.