In Sardegna siamo stati da dio.

“Mamma, sembra Ofena”, fece un figlio il primo giorno. Si, Ofena con il mare. Io ero pronta a trasferirmici, perché noi pecorari ci capiamo bene tra di noi e mi sono sentita tanto a casa.

Poi siamo rientrati a Ofena e ci siamo rientrati, per la prima volta da tre anni, rilassati. Ci siamo riappropriati della casa, nonostante la polvere e i buchi alle pareti fatti dai tecnici per i carotaggi miranti a capire di che materiale sono fatti i muri. Siamo arrivati la sera tardi, ed entrare in casa al buio per riattaccare le valvole sul terrazzo, in mezzo ai fruscii estranei dei fogli di plastica sottilissima con cui sono stati avvolti i mobili per non conciarli troppo, ecco, ho dato ragione a Orso che per i primi tre giorni diceva che la casa gli faceva paura e gli sembrava potessero uscire gli zombie.

Ma avevo 110 chili di pomodori da fare e un pranzo di Ferragosto per gli zii preferiti da organizzare, e non ho avuto troppo tempo di pensarci. Il primo giorno io me ne sono andata a caccia di pomodori con Beatrice incontrata in piazza mentre stavo per uscire a marcia indietro  (“Vado a Popoli al mercato, che vieni?” “Ma sto così come sono uscita? E va bene”), mentre il maschio alfa mi puliva la cucina che meno male che ci sono i banconi di acciaio che si fa subito, e mi sterilizzava barattoli.

I figli a piede libero per il paese intanto avevano recuperato degli amici e non c’ è verso di tenerli in casa o proporgli gite, loro vanno sotto al bar a giocare mentre noi genitori ci areniamo sul terrazzino.

Poi siamo andati a prendere possesso del MAP (modulo abitativo provvisorio) di mamma, la casetta da terremotati, a Civitaretenga, con una vista bellissima sui campi aperti della piana di Navelli e Caporciano sullo sfondo. Abbiamo scacciato ragni e riflettuto sugli inventari della protezione civile. Quest’ anno mi sono ripresa le due settimane per conto mio con i bambini in Abruzzo contando proprio sul MAP, visto che da quando casa nostra è vittima delle ordinanze, non potendoci contare non mi potevo permettere i giorni italiani con i bambini, che sono una cosa diversa dalle vacanze in famiglia insieme al maschio alfa, che nel frattempo, carico di barattoli di pomodori (l’ ultima cassetta appena imbarattolata e ancora bollente), olio, vino, suppellettili che tanto la casa va svuotata, è ripartito solo soletto per il nord ed è pure arrivato.

“La nostra inquilina dello scambio casa ha comprato un tuo libro, ha lasciato i soldi sul tavolo” mi ha comunicato oggi. La povera ancora non sa che la cito nel prossimo, di cui da martedì correggo le bozze insieme alla mia editor nonchè editrice preferita, che finge di andare in vacanza nelle Marche, ma tra presentazioni, correzioni e il corso di scrittura meditativa organizzato in extremis, non so quanto si riposi.

Quest’ anno a Ofena c’ è un mucchio di gente, dicono tutti. Perché ci si abitua. Ti abitui alle cicatrici delle crepe e delle travi della messa in sicurezza sui muri, ti abitui alla polvere dei carotaggi, la spolveri e via, rientri in casa. Anche quelli che gli scorsi anni ti denunciavano se scoprivano che rientravi in case parzialmente inagibili (le stanze pericolanti le chiudi e vivi come puoi nel resto), si sono abituati.

Chi dovrebbe controllare si è abituato che è impossibile non derogare, visto che dopo tre anni c’ è un immobilismo assoluto e come fai a pretendere che la gente metta tutto in sospeso in attesa dei tempi della burocrazia e della ricostruzione? Uno si riappropria dove può dei suoi pezzzetti di vita, dei relitti del naufragio, che per me si traducono nei pomodori e in un pranzo di Ferragosto. Per altri si traducono in divorzi perché uno dei due vuole rientrare all’ Aquila e l’ altro non vuole più saperne.

Ti riabitui che c’ è la Perdonanza celestiniana all’ Aquila e si discute su come recuperare la presenza di Riccardo Cocciante in concerto, per il cui cachet non ci sono soldi. E ti chiedi, ma che c’ è da recuperare, all’ Aquila finché stiamo messi così dovresti venirci gratis.

Mi abituo alla nuova macchinetta di mamma, una Micra, santa e benedetta che mi permetterà di rifarmi tutti i miei giri. Lunedì consegna di figlio 1 agli amici che lo ospiteranno, consegna di figlio 2 e nonna all’ appartamento al mare in cui terranno compagnia a una zia abbandonata e recalcitrante,  e via, a raggiungere i miei editori preferiti.

Rientro giovedì recuperando chi vuole essere recuperato e andiamo a ofena per la presentazione, meglio tardi che mai, di Statale 17, storie minime transumanti, nel posto e con le persone da cui è nato tutto. Poi a Balsorano da Bianca per un altro laboratorio di scrittura meditativa, chiacchiere serene con gente intelligente e piacevole e tuffi in piscina. Poi un paio di giorni a Tortoreto tutti insieme.

Insomma, ho recuperato le mie estati dopo tre anni di esilio e scombussolamento.

Quanto alla polvere, be, la polvere. Oggi ho attaccato l’ aspirapolvere industriale, abbiamo buttato carte vecchie e zavorra e piano piano stiamo recuperando degli spazi. Mentali, prima di tutto (e poi, vogliamo mettere i barattoli di pomodoro? Quest’ anno ho persino inventato la salsa pronta alle melanzane, l’ anno prossimo già so che con la base a Civitaretenga io vengo pure a impiantarmi l’ orto. Un altro di quei progetti rimandati causa sisma).

A riabituarmi al tempo novembrino di Amsterdam ho ancora tempo. Per adesso sto in Abruzzo, e, vi dirò, non ci sono mai stata così bene.

(Forse l’ unica cosa a cui non posso abituarmi sono i cambiamenti repentini delle disposizioni, per cui nuove norme non ancora pubblicate sul sito, ma pare, già in vigore, ritardano ulteriormente la consegna di case su cui si è già fatto un gran lavoro preparatorio e di progettazione. Se il terremoto ha spostato tutti i coppi dei tetti, che non possono essere toccati fino a che l’ iter non ha fatto il suo corso e nelle case continua a piovere, c’ è una differenza enorme tra iniziare i lavori quest’ anno o fra dieci anni. E mi sorprende che la Protezione Civile non ci pensi. Con tutti i soldi che stanno gestendo, facessero almeno una cosa pratica. Ma magari c’ è chi si abitua pure a questo. Solo che ecco, non mi sembra una cosa furba).

3 comments

  1. Sono felice per voi che la Sardegna vi abbia accolti e permesso di ristorarvi per tornare ad Ofena belli carichi. Ti leggo sempre eh, anche in questo nuovo blog. Brava! Continua così che l’inverno olandese è lunghisssssssimo.

  2. che bel racconto e che bella foto 🙂
    io mi cimento oggi con i pomodori e ho scoperto che la pentola in cui dovevo bollire i vasi è troppo piccola e le bottiglie escon fuori per 5 cm porc…..
    vabbè
    adesso sei lassù e non quaggiù, in abruzzo ci sono passata per andare e tornare dalla puglia, e ti ho pure pensata
    ciau

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