Ieri sono andata al concerto di Mimmo Locasciulli, e ho assistito a una cosa, molto tenera peraltro, che mi ha dato da pensare ai privilegi della parentalità.
Cioè, ho notato Locasciulli che, abbandonato il piano, andava a prendersi un altro strumento vicino al contrabbassista, e gli toccava un braccio mentre gli diceva qualcosa. Che la mia prima sensazione è stata un po’ seccata, il bassista stava suonando e io mi chiedevo: ma non gli stai dando fastidio?
Perché per un attimo mi sono sentita uno degli Gnorpoli attaccato al braccio destro mentre io sto cercando di concludere qualcosa al computer per potergli dar retta, e questa cosa di lavorare con la palla al piede è un argomento che sento molto vicino.
Però evidentemente dava fastidio solo a me, il ragazzo ha sorriso e continuato a suonare.
Al ritorno per restituire lo strumento uguale e poi mi sono improvvisamente ricordata che quel ragazzo lì era suo figlio, e allora tutto quel dialogo corporeo di gesti, toccarsi, magari lanciargli un’indicazione al volo sul prossimo pezzo, da cui, gli altri due musicisti, pur inclusi in tutto il resto della comunicazione funzionale al concerto, erano esclusi.
E mi è venuto in mente di quanto sia grande, universale ed esclusivo il diritto all’epitelialità con i nostri figli. Quel poterceli toccare, spupazzare, sbaciucchiare, finché ce lo revocano loro forse questo diritto (“Mamma, adesso sono un’uomo” disse un pomeriggio il figlio quindicenne della mia amica sottraendosi alle stesse coccole che fino a quella stessa mattina andavano bene – però dopo pare gli sia passata).
Ma forse non ce lo revocano: mia madre e le sue sorelle, già donne fatte e madri a loro volta, consideravano la cosa più bella del mondo, durante le vacanze, infilarsi a letto con la mamma per chiacchierare e dormire insieme. Ed è una cosa che tra sorelle ancora fanno.
Io stessa, trovo che nei momenti bui dormire con la mia mamma sia la medicina migliore. E la cosa più tenera verso miei genitori che con quel gesto lo accolsero definitivamente in famiglia, fu quando il capo una mattina si unì a me e mio fratello sul loro lettone, lui magari discretamente appollaiato a uno spigolo, per il nostro rituale di colazione a letto della domenica mattina.
Ecco, ieri vedere i Locasciulli non perdersi questo loro rapporto speciale in un momento di alta professionalità mi ha riconsolato. Perché a me, memore dell’esperienza dell’amica, mi viene già adesso il magone per quando ‘sti due Gnorpoli mi diventano adolescenti, o peggio ancora, mi si fidanzano, e allora sarà qualcun altro ad avere i diritti esclusivi di intimità con la loro pelle.
Perché una cosa che so da anni e mi deprime è che invecchiando proprio questo ci aspetta: che sempre meno persone ci toccano affettuosamente. E allora la carezza, il grattino alla schiena, il solletico, diventano beni rarissimi.
Interrompo qui, devo andare a fare un grattino alla mia mamma.
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