Io appartengo alla quarta generazione di una famiglia di insegnanti, perlomeno dal lato di mia nonna paterna. La maggior parte di loro ha insegnato in Abruzzo, e la trafila dell’ insegnante la conosciamo: se insegni in provincia di Teramo ti mandano a Valle Castellana, tanto per cominciare, un paesino in montagna in mezzo alle faggete.
Negli anni settanta questa fu la prima sede di mio padre. E quando lo riavvicinarono gli anni successivi, la domenica ci arrampicavamo ancora per le montagne per andare a trovare Don Angelo, il parroco che mandava avanti quella comunità abbandonata e isolata da tutti, con mezzo paese emigrato e tanti ragazzini affidati ai nonni mentre i genitori tentavano di farsi una posizione altrove. Di quelle domeniche mi ricordo passeggiate nei boschi, le chiacchiere davanti al camino con don Angelo e la perpetua, che forse era sua madre, e il cinema che lui organizzava in chiesa per procurare un po’ di intrattenimento al paese. in inverno la neve bloccava le strade e pace, si aspettavano lo spazzaneve o il disgelo, quello che arrivava prima.
In provincia di Pescara, che per fortuna è piccola e non troppo montagnosa, potevi sempre capitare a Castiglione Messer Raimondo o a Salle. In provincia dell’ Aquila c’ era solo da scegliere, quanto a paesini abbandonati a cui destinare insegnanti di prima nomina. Mio padre e la signora Battistini per esempio andavano a Villa Santa Lucia, che per fortuna era solo un po’ più su sulla montagna rispetto al paese in cui abitavano.
Ora, di questi paesetti, presi nel mucchio, si possono dire due cose: erano isolati, godevano di un altissimo tasso di emigrazione, e il livello socioculturale non è che fosse altissimo, eh. La maggior parte della gente, tipicamente, era chiusa, ignorante proprio nel senso che aveva accesso a pochissime informazioni e visione del mondo, e lo sport preferito era l’ ostracismo di chiunque non si adattasse alle regole del branco. No che siano caratteristiche esclusive dei borghi dell’Abruzzo, ci mancherebbe, ma questi nello specifico erano di base società arcaiche agro-pastorali, con riti, regole d’onore, comportamenti tipici del clan.
Per questo leggere oggi questo articolo sull’ Espresso in cui il preside ha pensato bene di creare a scuola una classe di soli bambini locali e una di soli extracomunitari, motivandola come una scelta per favorire l’ integrazione, è stata un pugno nello stomaco.
Non solo per la cosa in se, ma proprio perché è successa a Pratola Peligna, un paese che conosco abbastanza bene e che ho a lungo frequentato nella mia infanzia.
A Pratola alle elementari hanno insegnato per quarant’anni non solo zia Sestina, la sorella di mia nonna, ma anche zia Paola, sua figlia. Con zia Paola ho sempre avuto un’ affinità speciale: era una donna che da bambina ha sofferto moltissimo, prima la morte del padre e poi la vita con il patrigno. Eppure era una di quelle persone allegre, sempre ottimiste e sorridenti. L’ ho vista l’ ultima volta a Torino l’ anno che è nato Ennio, stava curandosi per un tumore che l’ ha uccisa, era poco prima che morisse, ed era sempre la bella persona carica di energia positiva e con una parola buona per tutti.
Che anche come insegnante avesse lasciato il segno tra i suoi allievi me lo confermavano i racconti delle mie compagne di università che l’ avevano avuta come maestra, Wilma in particolare, nata in Venezuela da un genitore migrante e rientrata a Pratola da bambina, aiutata con l’ italiano e con l’ inserimento proprio da lei.
Ecco, a Pratola, per dire, non è che gli emigranti siano un fenomeno degli ultimi anni, lo sono stati loro, e da tanto. Ho provato a immaginarmi come avrebbero reagito zia Sestina e zia Paola (il cui marito anche lui ha lavorato per alcuni anni in Venezuela) alle pressioni dei genitori autoctoni che non vogliono gli stranieri in classe con i loro. E mi sono detta che si sarebbero limitate a ricordare a quei genitori chi sono loro e da dove vengono, e chi sono i genitori di questi altri bambini e da dove vengono.
E per favorire l’ integrazione, penso avrebbero semplicemente dedicato più tempo e più attenzioni e del materiale adattato per quei bambini che ancora facevano fatica con l’ italiano.
Allora a quell’ ex-preside che ritiene che la via dell’ integrazione passi attraverso la segregazione, vorrei dire di farselo lui un giretto per il mondo a vedere come viene risolto questo problema in modo efficace e non divisionista altrove. Per esempio in Olanda, i bambini che vengono dall’ estero prima li iscrivi in quella che sarà la loro scuola e la loro classe definitiva. Poi per alcuni mesi, per quattro giorni alla settimana li mettono tutti insieme, se necessario prendendoli da scuole diverse, in un gruppo unico con un’ insegnante che gli fa solo il corso di olandese e gli spiega come si sta al mondo nella scuola definitiva in cui andranno.
Una volta la settimana, di solito il venerdì, vanno nella scuola definitiva per ambientarsi, fare amicizia con gli altri e farsi conoscere. Dopo alcuni mesi sono pronti ad inerirsi nella loro classe definitiva e pace. A pratola, con i numeri di bambini riportati dall’ articolo, ci sarebbero stati tutti i presupposti per far dedicare delle ore esclusive all’ insegnamento o perfezionamento dell’ italiano, o tramite insegnante di sostegno, o semplicemente dividendo le classi solo per le ore di italiano, che non costava neanche più di tanto. Ma si sa che nelle scuole italiane la gestione dell’orario definitivo è cosa complicatissima e soggetta a potentati e feudi interni.
Quindi mi fa piacere che ci siano state polemiche, e che il nuovo preside abbia cambiato la situazione, ma continuano a cascarmi le braccia, perché so che questa situazione non è solo tipica di Pratola Peligna o dei paesetti isolati. Per esempio Valewanda ci ha raccontato ieri per Genitoricrescono come questo succeda anche alle mamme bene milanesi, quelle che ti diresti che almeno una volta su un aereo ci sono salite, un ClubMed in uno dei paesi da cui vengono i genitori dei compagni dei loro bambini ci siano state.
Ma su certe questioni tutto il mondo è paesello ed è bene che gli argini a quelle che sono le sensazioni di pancia della gente vengano da fuori e dall’ alto, dalle istituzioni preposte a garantire la realizzazione di quello che sta nella nostra costituzione. Perché, per citare Stephan Sanders in Vrij Nederland, la folla si diverte un sacco nelle situazioni di incertezza e arbitrio. Ma la folla raramente ha ragione.
Questo post partecipa al blogstorming di Genitoricrescono
Grazie per avermi fatto conoscere questa notizia – inquietante – e la tua storia di famiglia. È proprio stupido essere divisionisti invece che far crescere insieme i bambini, portandoli al rispetto reciproco… Stupido perchè crea conseguenze. Mah.