Il lunedì prima della guerra, che la povera madre di famiglia dorme male pensando a tutte le disgrazie del mondo, mi soo attaccata al telefono e ho ingiunto a madre e fratello di far partire subito mia madre da Cracovia, dove lei sverna in compagnia di sorella cugina e amici, nonché fisioterapista.
“Ma se la riporto in Italia la casa non è riscaldata”.
“Non mi interessa, deve schiodare da lì.”
Mi hanno invitata a godermi i ben due giorni di vacanze preventivate cn Maschio Alfa e a stare tranquilla.
Il resto lo sapete.
Poi la settimana dopo mi sono fatta prestare una macchina, ci abbiamo messo le gomme invernali richieste in Germania e sono partita per andarmela a prendere, perché nel frattempo i profughi arrivavano, tutta Europa si era mobilitata, chi in questioni politiche chi a fare pacchi di aiuti e le centrali nucleari si era capito che erano pedine nel ricatto espansionistico.
Ieri sono andata a farmi un giro alla stazione Centrale di Cracovia, ho parlato con chi di questa qestione si sta occupando ed eccomi qui a riferirvi tutto.
La mia prima raccomandazione è: smettete di preparare pacchi se non avete prima ben definito il trasporto. Altrimenti questi pacchi rimangono abbandonati da qualche parte e alla prossima emergenza la gente è disincantata. mandate soldi alla Croce Rossa, oppure in fondo vi metterò il link per le donazioni ad alcune associazioni locali.
Perché c’è da dire che i polacchi sono organizzatissimi e gasatissimi sugli aiuti da dare, e visto che le coperte, le bende, i pannolini, i medicinali costano molto meno qui, con gli stessi soldi mandati in Polonia si fa molto di più e il trasporto è più vicino.
Detto ciò, è straniante entrare nel centro commerciale figo del centro, dall’ingresso nel piano interrato entrare in stazione e toccare con mano le conseguenze della guerra dietro casa.
Il primo che mi ha colpita era un signore con il bastone, in divisa da veterano e il gilè giallo dei volontari, che teneva d’occhio la situazione. Altri volontari, in divisa da scout o in civile, ma tutti con il gilè per essere riconoscibili, portavano pacchi e buste di cose.
Le code più lunghe erano davanti al centro per l’identificazione, il primo passo per farsi ammettere nel paese con lo stato di rifugiato. Le madri, che tanto erano praticamente tutte madri e qualche nonna con bambini, mollavano le creature in un punto dove ‘erano persone ad aspettare, intorno alle panchine, e si mettevano a fare l’ennesima fila, dopo viaggi di 50 ore passando da un mezzo di trasporto all’altro, una fila di alcune or visto che la fila grava tutta intorno all’angolo. Dopo c’era il centro di accoglienza, con brandine e altri generi di conforto e anche lì davanti c’era la fila, ma scorreva meglio.
C’era il centro medico ma per fortuna non c’era praticamente nessuno, tranne due ragazzi con un cartello in crateri cirillici che diceva: sostegno legale gratuito (e mi chiederete come faccio a saperlo e vorrei rispondervi che se lo ascolto, io la differenza enorme tra russo e ucraino non la capisco bene, forse il russo è quello in cui riconosco più parole, m se questi giorni ci hanno insegnato qualcosa è quanto siano intrecciate tra loro le lingue, le parentele, le appartenenze ideali o affettive di questo grosso pezzo di terra.
(to be continued, con le foto, appena recupero una connessione)
Non so che scriverti: sembra tutto
Irreale e sconcertante questo film dell’ orrore. Non dormo bene e credo che anche tu non lo faccia. Coraggio.
Infatti, Pasquale, facciamo quello che possiamo, più per noi e questo senso di incubo, e sono grata anche di ogni piccolo gesto. Ci serve a tutti quanti a scacciare l’angoscia e restare umani