Le due madri escono dalla piscina trascinandosi dietro quattro ragazzini eccitati, chi dal coraggio di aver fatto da solo e per la prima volta i tuffi dal trampolino grande, chi dalla sfiga di aver scordato gli occhialetti a casa e aver messo un muso fino a terra, seduto in un angolo della vetratona dietro cui le madri controllavano a distanza e all’ asciutto, chi ancora preso dall’ arrembaggio dal tappetino usato come zattera da tutti e quattro, chi assente e distratto a cui va ricordato di mettere un piede dietro l’ altro.
E poi le urla che vengono dal parcheggio come mettono piede fuori dalla porta automatica.
Le madri senza guardarsi accelerano il passo all’ unisono, tanto il parcheggio è piccolo e i bambini l’ hanno capito che devono seguirle, Arrivano alla macchina buttano un occhio di sguincio all’ utilitaria piantata in mezzo al vialetto, con il finestrino del passeggero aperto occupato da un uomo urlante mezzo dentro e mezzo fuori.
Le madri aprono lo sportellone e cominciano a caricare zaini e figli, apparentemente rilassate e per conto loro, ma con i muscoli all’ erta come l’ orso polare prima dell’ attacco.
“Perché anch’ io ti amo” urla intanto il tizio, reso invisibile lui e gli altri occupanti dal riflesso sul parabrezza.
“Gesù” sussurra una delle due.
“Troia”.
Sportelli sbattuti, rumore di motore e “ragazzi vi siete attaccati bene alle cinture? Tu, lascia stare tuo fratello”.
Poi una sgommata incazzata, di quelle da lasciare mezzo chilo di pneumatico a terra, il motore sopraggiri.
“Quanto testosterone in una sgommata”.
“Ma con chi ce l’ aveva?”
“Con la donna al volante dell’ altra macchina, guarda, la sta inseguendo adesso”.
“Cazzo”.
Poi risalgono in macchina anche loro, senza sapere quando impicciarsi e quando no, senza aver risolto il conflitto di solidarietà, senza sapere bene cosa avrebbero dovuto fare, solo con una nebbiolina che sembra coprire i pensieri di questo pomeriggio autunnale di sole. E pensano ai loro quattro, di figli maschi, quelli che in macchina si stanno menando.