È dal 21 febbraio che sto in ballo, forse in maniera quasi maniacale, ma che farci, con la guerra in Ucraina, sia per questioni di contiguità famigliare che per un senso più generale del fatto che questa guerra ci riguarda tutti. Perché il 21 febbraio e non il 24, giorno dell’invasione?
Perché con la situazione in corso al momento, in cui tutti ci interrogavamo sulle strane manovre dell’esercito russo, in cui chi segue da tempo quel pezzo di Europa stava chiedendosi continuamente: “ma attacca o non attacca?”, io come molti cercavo di ascoltare la voce della ragione, e dirmi che no, a rigor di logica non poteva attaccare, sarebbe stato un disastro per la Russia a cui proprio non conveniva, visti anche gli interessi commerciali con l’Europa.
Insomma mi ero quasi fatta tranquillizzare dallo storico Maarten van Rossem, di cui seguo devotamente il podcast, che alla vigilia dell’invasione ci aveva elencato molto razionalmente tutti i motivi per cui era illogico un attacco del genere e pace.
Poi leggo altre valutazioni, in particolare sul famoso articolo di Putin che nell’estate 2021 negava l’esistenza dell’Ucraina come entità a sé, di fatto ce lo aveva già detto per iscritto in che modo lui stravolgeva una visione della scuola in nome della sua sacra missione di riesumatore dell’impero russo, e mi si sono rizzati i peletti sulle braccia.
Per cui il 21 febbraio telefono a mia madre a Cracovia, casualmente c’era anche mio fratello, e ingiungo a entrambi di caricare mamma in macchina o un aereo ADESSO, e poi ne parliamo. Ovviamente mi hanno presa per pazza, cercato di tranquillizzarmi come si fa con i pazzi, e ignorata. 5 giorni dopo, mia madre che è nata durante la guerra, mi telefona in lacrime perché tutta la situazione e il modo come se ne parlava in Polonia, da subito in prima linea nell’accoglienza dei profughi, le riportavano su dei terrori dimenticati della sua prima infanzia.
E adesso arrivo alla Germania, perché sono dei mesi che seguo quotidianamente, in quelle 3-4 lingue diverse che sono in grado di seguire, tutti gli analisti politici e militari, storici, filosofi, slavofili eccetera che mi aiutino a farmi un quadro della situazione. Non riuscirò mai a fare un condensato di quello che vengo a sapere, come mi chiedono alcuni amici in Italia che vorrebbero saperne di più ma non hanno il mio fanatismo, comincio dalla Germania e il suo atteggiamento, cosa che mi intriga da parecchio, ma sempre in modo laterale rispetto a tutto il resto.
La Germania, quindi, che ultimamente traccheggia potentemente sull’invio dei carri armati Leopard, che altri paesi europei, Polonia in testa, che li hanno acquistati da loro, e che vorrebbero mandarli in Ucraina, attendono come da contratto l’autorizzazione del paese fabbricante. (E pure sui polacchi che si stanno riarmando con tanto entusiasmo vedo delle situazioni che mi creano perplessità, cercherò di analizzarle in un altro post.)
Ma le esitazioni tedesche sugli aiuti all’Ucraina durano da tanto. Ricorderete che il primo gesto solidale della ministra tedesca della Difesa Christine Lambrecht – che si è appena dimessa per manifesta incompetenza e scarso feeling con le forze armate, di cui non riusciva nemmeno, si dice, a imparare le basi -il primo gesto di aiuto fu quello di spedire 5000 elmetti. Gentilmente gli ucraini sotto bombardamento le fecero sapere dove se li poteva mettere la Germania quegli elmetti, ringraziando.
Ovviamente, come si è diffusamente detto e scritto dai media internazionali in questi mesi, la questione della dipendenza della Germania e della sua industria dal gas russo è centrale in queste esitazioni. La Germania ha bisogno di ripristinare le forniture dalla Russia, e ha bisogno di tenersela buona. Sul discorso energetico si vedano anche le proteste correnti degli attivisti nel paesino di Lützerath che cercano di impedire l’ampliamento della miniera di lignite. Il carbone no, il gas no, e che facciamo con l’industria tedesca, andiamo a manovella? Tocca capirli.
Nella stessa Germania ci sono tante voci contrastanti su questa linea del governo. Per esempio la ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock va in visita in Ucraina senza che si capisca se il premier fosse tanto contento (o magari non l’ho capito io). In questa situazione, con le pressioni sui Leopard da altri paesi europei – ed evidentemente anche pressioni interne – come vogliamo leggerli questi due episodi delle ministre? E il dover nominare un nuovo ministro della Difesa di quanto può ritardare o accelerare il Jawohl! alla consegna di armi? O magari è il modo di aggirare le esitazioni e darsi finalmente una mossa? Me lo sto chiedendo, resta il fatto che nei canali Telegram russi il grande eroe del momento è il cancelliere Scholz che con queste esitazioni aumenta le possibilità russe di una rimonta sugli ucraini esausti.
C’è chi dice che questa cautela tedesca sia in fondo un riflesso della paura di ricadere negli errori del passato che ha tenuto insieme questi quasi 70 anni di democrazia tedesca, il cosiddetto “German Angst”. E una Germania forte e attiva militarmente è in fondo l’incubo segreto dell’Occidente dopo la seconda guerra mondiale. Non per niente del primo segretario generale della NATO, Hastings “Pug” Ismay, è rimasta famosa la frase, sulla missione dell’organizzazione, che lo scopo dell’Alleanza Atlantica fosse:
“to keep the Russians out, the Americans in, and the Germans down”, ovvero: tenere i russi fuori, gli americani dentro e la Germania sotto.
Questa guerra in Europa – non crediamo di starne fuori, i prezzi dell’energia aumentati di tanto, con tutte le loro ricadute, sono state un atto di guerra deliberato nei confronti dell’Europa, proviamo a vederla così e toglierci le illusioni che vedo proliferare in Italia che questa guerra in fondo non ci riguarda. Ci siamo dentro fino al collo invece, basta guardare le nostre bollette, anche se ancora non ci bombardano e questa guerra è stato un formidabile catalizzatore di alcune cose.
Cose, come per esempio la transizione energetica, anche questa nei decenni passati portata avanti dall’Angst tedesco della catastrofe nucleare, dell’inquinamento e del cambiamento climatico. La riscoperta unione di intenti di quell’Europa che Putin vedeva come disunita e facilmente manipolabile in certi Paesi, Italia in testa. L’ingresso nella NATO di Svezia e Finlandia che per decenni sono state neutrali. La creazione di un esercito Europeo. Il ruolo della Turchia nella NATO.
Questa guerra ci ha costretti a parlare e fare i conti con tutta una serie di questioni che negli scorsi decenni, per quieto vivere, erano in fondo un po’ sotterranee.
Per questo le esitazioni della Germania sono state un formidabile catalizzatore, speriamo che adesso sulla questione dei Leopard non siano il colpo di grazia per interrompere questa nuova fase di ripensamento europeo e della forza, effettiva o presunta, delle nostre democrazie.
Aggiornamento del 23 gennaio 2023: ovviamente una volta messe in fila queste poche cose me ne sono venute in mente altre che avrebbero ampliato il senso del discorso, ma siccome è comunque una situazione fluida, mi limito ad appiccicarvi qui due tweet che mi sono comparsi uno dietro l’altro, e che da soli dicono più di quanto potrei io.
Sicuramente ho trascurato di dire che nel riarmo in corso da parte della Polonia, questa storia potrebbe avere un peso determinante nel decidere degli acquisti di materiale militare tedesco da parte di questo paese, con le relative ricadute economiche, di prestigio e marketing dei Leopard. Quello del marketing sembra essere uno dei motivi delle esitazioni: se i carri Leopard dovessero fare una cattiva riuscita sul campo questo avrebbe un effetto sulle commesse militari. Si parlava anche del rischio di cattura e reverse engineering da parte dei russi, ovvero che glieli copierebbero, ma non si tratta di mezzi così avanzati da rendere una loro cattura chissà quale scoperta dell’America.
Infine, le divisioni interne della Germania sull’aiuto o meno all’Ucraina hanno una precisa divisione geografica attraverso i Länder dell’ex Gemania Est, a cui la passata ma recente consuetudine con la Russia/Unione Sovietica, vuoi per paura o per simpatia, ha reso finora raro un sostegno forte per l’Ucraina come invece avvenuto nella parte Ovest.
Anche il ruolo di questa guerra nella postura internazionale dei Paesi dell’Unione Europea più a est, Polonia, Baltici, Cechi, Slovacchi e Ungheresi, per non parlare delle curiose rinnovate tensioni serbe in Kosovo proprio ora, meritano un approfondimento futuro.