Ci sono scesa un po’ a patti nel frattempo, ma scoprire da adulto che hai l’ ADHD è sempre una botta. Facciamo finta che tutti abbiamo un minimo presente di cosa sto parlando quando dico ADHD, tanto questo post è appunto per ricordarci cosa ne pensa chi ne sa poco e niente. Poi quando ho sedimentato ancora un po’ cercherò di spiegare cosa sia esattamente, come me l’hanno diagnosticata (e le cantonate prese per strada) e le fonti di informazione affidabili che ho trovato in giro e ve ne scriverò a parte.

Ammetto di aver sofferto a non dirlo prima. Non a caso quando proprio non ce la facevo più a tenermela, mi sono limitata a una roba un po’ generica. Non so, magari lo sarebbe lo stesso se mi avessero diagnosticato i piedi piatti, la celiachìa o la presbiopia (ah, fermi, quest’ultima me l’ hanno appena scoperta e dopo 4 decenni da ‘cecata’ non riesco ancora a farmene una ragione, io con gli occhiali da lettura vedo appannato, con quelli vecchi da miope/astigmatica no). Comunque ti ci devi abituare. E io intanto che mi abituavo cercavo di tenere a mente i lati positivi che mi ricordava la mia psicologa. Tutto questo ha portato a una bellissima chiacchierata con Miss Nathalie Finch che essendo per mestiere dall’altro lato della scrivania qui ha spiegato ottimamente come funzionano le diagnosi ai bambini.

Io intanto parlo per me che sono adulta. Ci vuole un po’ di tempo per capire che una serie di cose che mi hanno sempre dato noia nella vita (e fingo di andarci su leggera, eh) in realtà non le posso proprio influenzare. Il tuo cervello funziona così, con quei doni e quei limiti e basta farsene una ragione. Disse quella che ha passato 47 anni a sentirsi disadattata e diversa dagli altri, ma in fondo siamo tutti i diversi di qualcun altro, so what’s new?

Ancora più difficile è dirlo in giro, perché la gente che ti ha sempre conosciuto (e apprezzato) così cosa vuoi che ti dica? E la gente che ti conosce poco, cosa vuoi che ti dica? E in generale, ma dell’ADHD cosa si sa in giro? Non chiedetelo a me che forse per motivi di pura sopravvivenza ancora non mi metto per bene dietro google per informarmi, quindi posso solo dire quel paio di cose su cui sono inciampata io. Che sono ridotte, personali e di parte, quindi praticamente di nessuna utilità per chicchessia. O forse si.

Eccovi quindi le cose da non dire a che ha l’ADHD, tranne me che nel frattempo per scriverle me le sono elaborate, oppure ho già sfanculato il primo che me l’ha dette e adesso posso gestire meglio i prossimi.

1) Ah, queste malattie di moda

Ecco, vai magari a dirlo a uno che ha un tumore raro, l’ebola, l’AIDS o qualcosa di più facilmente quantificabile. Ah, non glielo diresti? Come mai a loro no e a me si? (E comunque è una sindrome, non una malattia).

2) Ah, ma è quella cosa dei maschietti troppo vivaci?

Si, quella, ma non viene solo ai maschietti. Viene anche alle femminucce. E non viene solo ai bambini. Ce l’hanno anche gli adulti (e ne conosco un paio, uno si è creato una vita organizzatissima e controllatissima e dioneliberi gli ritarda un treno. L’altro si sfascia di canne dalla mattina presto all’ora di andare a dormire, e certe volte, nell’organizzazione del lavoro che ha, si sentono gli effetti).

E non si esprime solo con irrequietezza e vivacità, quello è il sintomo “facile” che non hanno neanche tutti. Insomma, io sono femmina, adulta e relativamente tranquilla fisicamente, anzi, proprio pigra. Ma ce l’ho, talmente inequivocabilmente che quando mi è arrivata una bella diagnosi scritta la prima reazione di chi mi vuole bene e mia è stata: ma come mai non ci abbiamo pensato prima?

3) Si, ma secondo me non hai l’ADHD (qualsiasi cosa ciò voglia dire), è che tu sei un tipico gemelli, sempre sognatore e con la testa fra le nuvole

Il meccanismo di minimizzare per consolare e sdrammatizzare lo capisco, è umano, io l’ho applicato allo sfinimento con gli amici (molti dei quali essendo più civili di me non mi hanno neanche sfanculata) ma non aiuta, anzi, irrita. Io sto facendo una fatica enorme per accettare questa cosa, perché la devo accettare, la devo capire e me la devo fare amica visto che me la devo tenere, per cortesia non banalizzare tutto questo, anche se è un processo invisibile e ti sfugge. E io sono già stanca di mio. Provaci tu a vivere ogni minuto, ogni giorno della tua vita con 40 schermi che urlano a tutto volume una cosa diversa nella testa, senza meccanismi efficaci per filtrarli, che poi l’oroscopo lo riscriviamo insieme.

La mia fortuna è che la prima a dirmelo è stata mia madre, per cui manco l’ho potuta sfanculare, ma quando mi sono ripresa le ho detto più o meno questo, e lei si è scusata e mi ha fatto le coccole. Grazie mamma, anch’io.

4) Si, ma adesso diagnosticano queste cose a chiunque e prima non ce l’aveva nessuno, secondo me è una scusa (per vendere medicine, per dare una scusa ai pelandroni, per controllarci attraverso le scie chimiche, perché i vaccini e big pharma e il complotto plutogiudaicomarziano).

Questa mi fa incazzare, ma tanto, per motivi che non sono in grado di spiegare razionalmente. E piantatela di linkarmi Robinson perché sono perfettamente d’accordo con lui sulla situazione di iperdiagnosi negli USA, a cui sottendono metodi di testing e politiche scolastiche nei diversi stati, ma appunto, non è il mio caso e la diagnosi non me l’ha fatta una maestra stanca ma una batteria di gente che ne sa. Questo TED Talk mi piace, ci credo, ma appunto, l’epidemia di ADHD di cui parla non è la mia.

E prima di dire che prima non ce l’aveva nessuno, provate a ricordarvi di tutti i vecchi compagni alle elementari e alle medie che ripetevano un anno si e l’altro pure, o venivano considerati ribelli, pericolosi e delinquenti fino a diventarlo, almeno per cortesia, e dare ragione a insegnanti e altri adulti che avevano tra i piedi. E quando ve li siete ricordati andate a controllare come sono riusciti nella vita. Di quelli che conosco io un toto sono morti di overdose prima dei 30 anni, un altro paio non è che stiano benissimo, uno si è salvato da una tossicodipendenza perché suo padre non ha mollato neanche per un secondo. Suo fratello piccolo non ce l’ha fatta. No, per dire.

5) Ma mica prenderai le medicine?

Si, all’inizio non capivo se mi servissero o meno, se facessero una differenza o meno. Poi ne dovevo prendere due al giorno, e io a prenderla al mattino ancora ci arrivo, ma la pasticca di mezzogiorno proprio non riuscivo a ricordarmela manco segnandomi l’allarme sul telefonino. Ho smesso di prenderla per sciagurataggine due settimane (ahò, in fondo ho l’ADHD, ci sta che mi scordi di farmele riprescrivere quando finiscono) in cui dovevo organizzare un sacco di cose ed è stata un’esperienza così stressante da farmi ricredere. Poi ho anche capito che la dose rispetto al peso corporeo fa la differenza e adesso che prendo un dosaggio superiore, che dire, si vede, si vede.

A me la medicazione fa davvero tanto, in meglio, non è detto che sia così per tutti. Proverò altre cose ma intanto va bene così. In Italia peraltro il Ritalin costa meno dell’aspirina, così, sempre per tranquillizzare i complottisti da Big Pharma, che mi chiedo cosa si prendano quando hanno il mal di testa. E no, non mi cambia il carattere. Sono sempre io. Riconoscibilissima. Ma mi stanco meno, mi stresso meno e ho più tempo di tirare fuori quei lati piacevoli, che sempre miei sono, e che conosciamo bene.

6) Ma sono psicofarmaci, sono pericolosissimi, è stato dimostrato che hanno sul cervello lo stesso effetto della cocaina

Ormai gli articoli allarmistici ad minchiam si riconoscono dallo stile e dalla mancanza di argomentazioni serie, sostituite dalla suggestione. Me ne avete spediti a chili con le migliori intenzioni, ma o ve li leggete voi criticamente prima o piantatela, che reggere una diagnosi del genere già è faticoso di suo. Si, è vero, se sniffassi il principio attivo in quantitativi equivalenti alla dose di cocaina che mi brucerebbe il cervello avreste pure ragione. Ma a parte che nessuna ricetta ne contiene tanto, poi stare lì a polverizzare e sniffare, ma dai, siamo seri. Le dosi che prendo io sotto assiduo controllo medico non sono neanche lontanamente paragonabili (a parte che continuo a scordarmi la seconda pasticca e quindi ne prendo ancora meno del dovuto).

Facciamo così, tutti quanti abbiamo sicuramente dei conoscenti che ammettono di farsi di coca lucidamente nel weekend, a scopo ludico e rilassante che tanto non gli succede niente, loro si che se la sanno gestire. Andate prima a dirlo a loro che si bruciano il cervello e regalano i soldi alle mafie che poi ci fanno cose che rovinano la vita, direttamente o indirettamente anche a noi. Il risultato è triplice, vi cavate dalle mie scatole, vedete a scopo di studio antropologico che vi rispondono loro e fate opera meritoria contro le mafie. Ah, già, ma voi magari vi fate le canne lucidamente e state benissimo. Vi dirò, sto bene pure io che non me le sono mai fatte.

7) Ma ai tuoi figli la daresti?

Se ve ne fosse necessità e alle stesse condizioni con cui la prescrivono a me, certo, di corsa. Il punto è che nei miei anni di volontariato a scuola ne ho visti alcuni di bambini ridotti talmente male a causa di un problema non meglio determinato, una bimba giù di morale, depressissima e con l’autostima a zero che faceva cose che oggettivamente rischiavano anche di metterla in pericolo (e mandare in galera noi sorveglianti).

Un altro ragazzino, neanche cattivo, visto che l’ho conosciuto al nido di mio figlio e l’ho visto crescere, a un certo punto stava diventando un pericolo per sé e per gli altri quando partiva con i cinque minuti di aggressività. A scuola non si poteva dire niente per via della privacy, poi seppi che la madre, con una diagnosi e tutto, comprensibilmente aveva avuto paura delle medicine e rifiutava di farlo medicare. Fino a che non è finito in una brutta rissa, è intervenuta la polizia e i servizi sociali, qualcosa deve essere successo perché nel giro di una settimana è cambiato da così a così ed è tornato il ragazzino gentile che ho conosciuto da piccolo. Con grande sollievo di tutta la scuola. E della madre, con cui poi ho parlato. (Una dei rappresentanti dei genitori si lasciò sfuggire: “si vede che gli hanno cambiato dosaggio”).

Sono cambiati da così a così nel giro di una settimana, hanno finito bene la scuola e sono riusciti ad andare alle superiori che volevano, sono diventati più felici, hanno ricominciato a socializzare, a una è venuta la botta creativa che evidentemente prima era troppo deconcentrata per dedicarcisi, si è rimessa a fare danza che aveva dovuto interrompere e l’hanno scelta come comparsa per un musical nazionale che non vi cito, anche se lo stanno dando adesso.

Ma guarda, se sapessi che fanno bene così a prescindere pure io inizierei a prescriverle come party pill. Purtroppo non sono la pillola magica che funziona per tutto e tutti, non a caso sono controllatissime e per fortuna da noi si vendono solo su prescrizione di uno specialista. Come è giusto che sia.

8) Ma non si conoscono gli effetti a lungo termine

Oddio, in fondo è stata brevettata solo negli anni ’50, magari invece gli effetti su certi tipi di indicazioni sono pure noti. Se io fossi un’ adolescente magari me la prescriverebbero solo per un certo periodo, visto che i bambini crescono, si evolvono e tante cose passano.

E comunque farei una considerazione diversa:

Vedi sopra, la bimba depressissima e autostima a zero di cui vi dicevo sopra ha rischiato più di una volta, con le reazioni depresse e le cose che faceva per disperazione, di sfracellarsi per sbaglio dal tetto, impiccarsi e simili. Se un bambino di manco 7 anni rischia questo, ma sai quanto gliene frega ai genitori dell’effetto che avrebbe potuto fargli fra vent’anni la pillola se nel frattempo a vent’anni non ci sarebbe mai arrivato se si faceva seriamente male prima?

Insomma sembra la dietologa che voleva mettere a stecchetto mia nonna a 92 anni portati benissimo e dopo una vita di frugalità al limite degli stenti: “Dottoressa, ma alla mia età neanche un peccato di gola posso più fare, visto che degli altri non mi è rimasto niente?”

9 e 10) Eh, quando ho scritto il titolo ce le avevo tutte in mente, e forse anche qualcuna in più

Adesso mi sfuggono. Però cosa volete che vi dica, il sintomo fondamentale del deficit di attenzione con o senza iperattività (ADHD o ADD per gli amici) è quello di non avere filtri che dicano al mio cervello qual era di nuovo la cosa su cui mi dovevo concentrare proprio adesso tra le 30 – 40 che mi urlano in testa. Facciamo così, se mi torna in mente ve lo dico un’ altra volta. Anche perché ce n’è da dire.

E a questo punto una domanda ve la faccio io: se non fosse un handicap – perché di questo si tratta – invisibile, come ce ne sono tanti, voi le stesse cosa la direste a qualcuno con una diagnosi più nota e visibile?

 

28 comments

  1. Carissima Barbara,
    mio figlio 17enne è un ADHD nella forma disattenta, e anche DSA (dislessia). È tutto molto complicato (ovviamente a scuola), lui non prende il farmaco perché il neuropsyc ritiene che sia grande (diagnosi a 15 anni). Però tu hai già fatto tutte le cose importanti nella vita, probabilmente compensi o riesci a gestire!
    un caro saluto,
    Paola

    1. Grazie Paola, in effetti è proprio questo.per me le superiori sono state un inferno, e delle volte mi chiedo perché soffrire. Poi se l’ età sia una discriminante o meno per prendere il farmaco, io non lo so, il figlio di una mia amica più o meno coetaneo del tuo ha smesso, ma anche perché è passato a un tipo di scuola con più materie che gli interessano. Comunque si imparano un sacco di trucchi, un’ amichetta dei miei figli ha fatto un mese di terapia/osservazione/non so bene cosa in un centro qui a cui si appoggiano molte scuole e pare l’ abbia aiutata proprio a imparare a gestirsi e inventarsi dei trucchi, per cui alla fine la decisione `e stata di non medicarla ma farle iniziare le superiori e vedere come va.

  2. Questo articolo dovrebbe trovarsi non solo su mammamsterdam, ma su mammaitalia, mammapalermo, mammascuola, mammaaggiungiquellochetipare ecc.ecc. Perché se tutti conoscessero l’ADHD, i DSA (per collegarmi al commento di sopra) o i disturbi dello spettro autistico forse vivremmo in un ambiente più tollerante, aperto e non ci sarebbe bisogno di fare domande o affermazioni inutili come quelle sopra elencate. E molte persone, anche adulte,smetterebbero di pensare di non essere normali o di essere strane, capendo solo di avere un cervello che funziona in maniera diversa (né meglio, né peggio).
    Ps: mi perdoni la signora Paola, ma teoricamente suo figlio è dislessico ma non DSA, in quanto per poter essere disturbo “specifico” non devono essere presenti altri deficit come l’ADHD.
    Saluti 🙂

    1. Francesco, è il motivo per cui ho risposto a Bianca nel suo commento qui sopra. Si, ci dovrebbe essere più consapevolezza e attenzione, ma se vedo anche quante difficoltà e pregiudizi debbano affrontare anche persone e famiglie alle prese con cose più visibili e che da anni dovrebbero essere state riconosciute e accettate, e non lo sono, penso a Baboz di Mammafattacosì e alla sindrome di Down (poi linko anche il suo blog), mi dico che la paur della diversi`a e l’ omologazione verso un rassicurante universo in cui siamo tutti uguali facciano un po’ prete della natura umana.

      1. Certo, fa un po’ parte della natura umana in quanto l’uomo è un animale sociale, e vivere in una società che ci somiglia (o a cui ci sforziamo di somigliare) ci rende più tranquilli e sicuri, però penso anche che crescere assieme al “diverso” e stare a contatto con lui fin da piccoli renda tutto più semplice e naturale. Io seguo due bambini disabili a scuola, di cui uno autistico, ed entrambi sono parte integrante della classe, i compagni sono consapevoli della “diversità” ma la loro presenza in aula è vissuta come una cosa assolutamente normale. Se abituiamo i piccoli ad essere più aperti e tolleranti allora tra qualche anno vivremo in una società pronta ad accogliere tutti!

      2. Infatti, quando uno dice: eh, ma una volta allora che non esisteva questa etichetta? Be una volta questi bambini venivano direttamente etichettati come asini, delinquenti e riempivano i riformatori, che non è che mi sembra la soluzione più rispettosa e manco utile alla società. E però penso anche ai paesini in cui ho vissuto, in cui lo strano, lo stravagante, comunque era imparentato con mezzo paese, magari gli ridevano dietro, però in qualche modo faceva parte della società. C’è molto da dire sulle comunità chiuse, da un lato vogliamo assomigliarci tutti, dall’ altro il conformismo creava anche regole condivise in cui chi non poteva o non ce la faceva, comunque era accettato. Solo che non lo era a livello di parità ma di compatimento.

  3. non so che dire perché mi trovi completamente impreparata. Ma vorrei che raccontassi di più, c’è possibilità di vedere tante cose e situazioni con attenzione diversa pensando a sé stessi. per cominciare.

    1. Bianca è il motivo per cui ho voluto pubblicarlo. Io come sai ho iniziato a farmi domande con il lavoro di volontariato a scuola che mi ha portato da vicino a conoscere determinate situazioni e anche a guardare con occhi diversi bambini e genitori che conoscevo. I passo avanti me l’ hanno fatto fare genitori e blogger che conosco che erno gi`a passati per situazioni simili e continui a chiederti se ci sei o ci fai. E alla fine giungi alle tue conclusioni. Batsa che uno apra la bocca per dare sgomento di riflessione a tanta gente che prima come me si sentiva in colpa per certi suoi modi di essere, ma si chiedeva anche se fosse proprio così tanto da biasimare. la cosa migliore che dice un manuale che sto leggendo e mi sta chiarendo molte cose è: prendi atto, se vuoi riguarda la tua vita in prospettiva e soprattutto PERDONATI. Fatto questo, puoi andare avanti e costruire in modo positivo da quello che adesso sai.

  4. Noi, dal nostro canto, ci spaliamo un sacco di malta quotidianamente, ma in fondo lavoriamo e viviamo per i momenti in cui aiutiamo le persone a dare un senso alla propria storia e mettersi su una strada, lungo una direzione. Non credere che non abbiamo paura anche noi, spesso mi arrovello sul dubbio se ho fatto bene oppure ho fatto male, se ho agito nel modo migliore, se ho detto le cose nel modo migliore. Poi le cose bene o male mi riescono, che va bene che è scienza, ma non è esattamente esatta e non hai calcoli precisi a disposizione che ti possano aiutare nel fare previsioni, ma solo competenza, esperienza e buon senso.
    Non so se faccio bene a dirlo, ma quando poi state meglio noi ve ne siamo grati e ne siamo felici. Ma soprattutto grati. Perché se da un lato sai che facendo così c’è un certo numero di probabilità che il risultato sia cosà, ogni volta che funziona ti sembra sempre un po’ magia e un po’ merito dell’altro, che è tanto bravo nel fare quel che dici.
    In bocca al lupo per ogni cosa… La mia esperienza mi dice che la tua disposizione d’animo è quella che un giorno farà sentire grato qualche collega che ci siano persone come te. 🙂

    1. Ma infatti ai tuoi colleghi sono grata e voglio bene, nei limiti deontologici. poi un paio di volte uno sguardo tipo: ma come fanno questi due a stare ancora insieme, rivolto a me e maschio Alpha ho creduto di percepirlo, e gli voglio bene anche per quello. Infatti da come ho capito erano meravigliati ma anche contenti che avessi deciso di fare lo screening e mi hanno detto chiaro e tondo che sono pochi che lo fanno. Cosa che mi ha stranita non poco, perché a me sembrava invece così inevitabile. Miss Nathalie, qui le amiche e conoscenti mi stanno scrivendo in massa, ma se ti chiedo in privato riferimenti di colleghi tuoi in altre regioni va bene? Magari ce li hai

  5. Hai ragionissima, nessuno sa bene cos’è, ma è molto diffusa invece. Ho insegnato per alcuni anni in un noto diplomificio italiano, facevo lezione a piccoli gruppi o a singoli, stranieri o italiani. Questi ultimi erano essenzialmente tutti quelli che alla scuola pubblica dopo due tre bocciature i genitori non ce li iscrivevano più, allora arrivano li per cercare di recuperare anni (e io da ex studentessa irrequieta entravo in empatia). Ho conosciuto così tantissimi ragazzi e ragazze con difficoltà, alcuni molto demotivati, disinteressati, ipertimidi, molti altri con disturbi più o meno gravi di dislessia-disgrafia e discalculite, oltre ad alcuni casi di adhd e depressione (un’alunna aveva tentato il suicidio e a me che ci facevo lezione me lo hanno detto quasi a fine corso i genitori…(io ovviamente mi ero accorta da mo dello stato della ragazza). Questi disturbi e problemi non erano stati assolutamente compresi o considerati, dalla scuola pubblica e in alcuni casi anche dai genitori, almeno non in modo risolutivo, alcuni proprio non diagnosticati, neanche nei ragazzi in cure farmacologiche. Ricordo in particolare di una ragazza veramente in gamba che studiava e sapeva un sacco di cose ma non riusciva a esprimerle (ora fa l’attrice di fiction e imparare i copioni a memora per lei è facilissimo!) a cui giovava un sacco scrivere al computer (per disgrafici e dislessici spesso è così) e invece questa cosa l’avevano sempre ritenuta una specie di capriccio, e non l’unico modo in cui lei riusciva a esprimersi, e anche bene, nella forma scritta; arrivati alla maturità lei avrebbe voluto usarlo per lo scritto di italiano, però fare lo scritto di maturità al computer comporta rientrare in una sorta di maturità per diversamente abili, quindi una maturità minore, che lei giustamente dopo tanto sforzo non voleva fare, alla fine ha fatto quella normale diplomandosi col minimo, ma era una spanna sopra gli altri della pubblica…

    1. Ma infatti è così e dio benedica i diplomifici a questo punto. Nel liceo di mio figlio ho scoperto che i dislessici hanno il permesso di usare la tastiera. Lui scrive male e lentissimamente e fa fatica a segnarsi i compiti da fare, per cui, non essendo dislessico, non gli danno la tastiera ma gli permettono di fare una foto alla lavagna con il telefonino, che durante la lezione devono tenere spento e nella borsa altrimenti glielo sequestrano. Oppure di fotografare il diario della compagna precisissima che sa sempre tutto, la Hermione Granger de noantri (dio ci benedica anche loro).

    2. Ciao. Non è esattamente così, con un DSA puoi richiedere strumenti compensativi/dispensativi e però avere lo stesso titolo di studio di tutti. Io insegno e di studenti con DSA ne ho, usano il computer se preferiscono (non sempre è così chiaro qual è la cosa migliore) ma svolgono lo stesso programma del resto della classe.

  6. mannaggia… devo tornare a rileggerti con calma, che sono in periodo di privazioni di sonno e i miei neuroni funzionano molto male e rischio di pentirmi di quello che dico. Intanto perchè fui (anche suppongo) io a linkarti Robinson che amo motlissimo, ma soprattuto perchè io col discorso di medicinali e psicofarmaci ho un rapporto travagliato e molto contraddittorio che mi devo anche di chiarire. E la prima lettura del tuo post mi ha toccato corde tutte mie per carità ed ora non ricordo più nemmeno perchè Forse ne approfitterò per prendere coraggio e scrivere un post da ripostiglio e ti inviterò a leggerlo,se ti va. Ci metterò mesi e non sono neppure affidabile, magari non scriverò proprio niente. Però sappi che io penso che tu sia stata grandiosa e bravissima e ti faccio una standing ovation colossale. E si forse è stato questo che ho pensato alla prima lettura: che se avessi avuto una mamma capace di accettare le prescrizioni e le diagnosi avrei molti meno problemi al giorno d’oggi. Forse eh, che mica è tutta colpa sua, porella e certo per lei era forse davvero troppo difficile.
    Ecco ora forse dopo mi pentirò di come ho scritto sto pensiero, ma per ora me lo lascio scappare così, tu sappi che non dormo (bene) da un mese e filtrami se puoi.

    1. Squa, grazie, non lo sapevo e neanche lo immaginavo, ha ragione il mio libro a dire che siamo bravissimi e inventivi a nascondere le nostre debolezze al mondo. Solo che ci costa fatica ed energie che potremmo impiegare meglio. Mo ci penso che tutte le osservazioni che mi avete fatto sono una fonte di riflessioni e visto che sto sul pezzo, meglio scriverle finché dura

    2. Ah, tra l’ altro, no, non sei stata tu a linakrmi il viso di Ken Robinson a questo proposito, ma prima, e infatti girava parecchio e me lo sono sempre guardato per il discorso sui paradigmi educativi, che in fondo è (uno dei miei) mestieri. Poi a un certo punto all’ epoca della diagnosi un amico molto caro che mi è stato tanto vicino (e io ho le mie teorie sul perché se la fosse presa tanto a cuore, ma ancora non ho modo di chiederglielo) mi sosteneva materialmente, questo si, ma mi inondava alle tre di notte della qualunque come se si fosse assunto il compito di farmi da avvocato del diavolo. A un certo punto pur apprezzando il coinvolgimento, pur intuendo da dove gli veniva e pur avendo ogni tanto anche la sua utilità`a, stavo per chiedergli a muso brutto di piantarla. Poi io mi sono scordata di dirglielo e lui si è scordato di andare avanti, che noi funzioniamo così.

  7. Ho una figlia che non è dislessica ufficiale ma borderline. E un marito che, oltre ad essere come mia figlia, ha i suoi bei problemi di memoria (senza diagnosi, ma adesso come adesso che ce ne faremmo di una diagnosi? Tanto ci sono io a ricordare per entrambi ;-P)
    La mia prospettiva al momento è questa: dal momento che i problemi di apprendimento sono così diffusi, non è il caso che ripensiamo la nostra didattica? Io non ci sto a considerare “malata” o sinonimi vari una parte così vasta dei discenti.

    1. (Oddio, mi sembri mio marito che mi deve organizzare i processi complessi non lavorativi – quelli per qualche motivo ci riesco, evidentemente si impara se trovi il lavoro che fa per te).
      E comunque si, sono perfettamente d’ accordo con te. Per questo il video che ho linkato del TED Talk di Ken Robinson a me era piaciuto fin dall’ inizio, ovvero prima di guardarlo da una prospettiva di AD(H)D. Spiega molto bene come siamo arrivati al sistema scolastico che abbiamo e perché, e si capisce che è molto, ma molto superato. Continuare ad aggiungerci l’ aggiornamento, l’ impostazione o la materia di moda non va a toccare la base del sistema, che è fatto semplicemente per la maggioranza omologata. Certe volte, veramente, dio benedica i nostri insegnanti sottovalutati.

  8. Abbiamo quasi tutti qualche magagna, fisica o psichica, e avere una possibilitá farmacologica per risolverla sará anche “una stampella che non risolve il problema alla base”, ma aiuta a sopravvivere.
    Raramente a chi ha problemi “fisici” si dice “eh, ma é tutto nella mente, se fai * vedrai che passa e non dai soldi alle multinazionali”, dove per * inserite qualsiasi cosa, dalla preghiera allo yoga, passando per un figlio o due (giuro, fu detto a me).
    Io sono depressa, ho cominciato a esserlo verso i 15 anni, adesso ne ho 45 e ancora ogni tanto ci ricasco, il cagnaccio nero credo mi accompagnerá tutta la vita, ma finche il guinzaglietto chimico lo tiene buono a cuccia sono abbastanza contenta….
    Credo che il titolo potrebbe essere esteso a “10 cose da non dire a chi ha problemi di salute non visibili”, che molto spesso sono mentali o giú di lí.

    1. e lo so. mi posso immaginare solo per sentito dire come sia essere depressi, se penso ai miei momenti down e alla capacità che ho sviluppato negli anni di dirmi a un certo punto: ma qui ci sono già stata e so che se sto proprio così male vuol dire che il peggio è passato e so che sta per finire, ecco, immagino che tu invece non abbia questa sensazione di deja-vu, ma magari è tutto pervasivo in ogni fibra e non sai se finirà mai. Non ci posso neanche pensare, viva il guinzaglio. (e si, funziona per tutte le cose invisibili, anche fisiche).

  9. E invece il deja-vu ce l’ho, non lo avevo all’inizio, quando ho cominciato a sentirmi come se il mondo all’improvviso ce l’avesse con me, dopo tanti anni conosco i miei polli, e mi dico “ci sei giá passata, tieni duro, poi starai meglio”, soprattutto nei momenti di ansia che minacciano di bloccarmi nel mio guscio.
    Riconoscere i sintomi in tempo, riconoscere quando si comincia a “rimuginare” nella mente pensieri oscuri, aiuta anche a dare un senso a come ci si sente.

    E anche sapere che il “sentirsi giú” é una costante un po’ aiuta, vedere i cambi d’umore repentini e continui di un paio di bipolari che mi sono passati accanto mi fan pensare “evviva evviva, almeno io sono constante”.

    1. ah, quindi il deja-vu ce l’ hai, meno male.

      Allora, senti questa, a un evento pubblico una collega che conosco da tanti anni, molto più grande di me, mi fa a bruciapelo: sai, ma sono tanti anni che te lo volevo chiedere, per caso anche tu sei bipolare come me? E io non sapevo se stranirmi, se mettermi a ridere, se chiedermi come mi vedono gli altri, e comunque, sotto sotto, la domanda era pure legittima.

  10. E passato un po di temporicette da questo articolo e magari non lo segui piu, ma se mi leggi, ce un modo per mettermi in contatto con te? Il mio compagno ha la stessa sindrome, non so come comportarmi e vorrei essere d aiuto per lui non distruttiva, e gia in crisi abbastanza così. Grazie

  11. 9) Hai solo bisogno di una ragazza (quella che mi irrita di più)
    10) Questo succede perché non vai in chiesa (quella che mi fa più ridere)
    Inoltre mi fa salire la nervatura quando dicono “vabbè devi solo calmarti un po”

  12. Cara Barbara
    Hai fatto un articolo come mai visto..io vivo dal 2013 con la diagnosi e senza medicamenti … impossibile…
    Grazie, mi ci vedo totalmente.

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