IMG_1280Il piccolo è il fanciullo pastore, come mio padre, che si aggira fatato per il mondo e parla con gli animali, dai ragni ai gatti. Si aggira con la sua grazia nuda di putto arciere, con delle rotondità segrete e commoventi da bambino piccolo nel corpo, con la stigmata di una piega pensierosa nel ciglio, anche quando dorme. Si avvolge nei suoi silenzi concentrati, contrappuntati da un canto che non è per gli altri, è solo suo, e ogni tanto apre la porta e ti accoglie nel suo mondo. Un mondo che lo aspetta fuori con pazienza, gioendo per ora degli attimi che vuole concederci. Sappiamo che ci vorrà raggiungere sempre più spesso e sempre di più, ma lasciamogli i suoi spazi verdi profondi quando ne ha bisogno.

Il grande è il raggio di sole, che paga la leggerezza che sparge per il mondo con pesi suoi nascosti che a volte, lo tirano a fondo. Ma basta un colpo di vento per liberarlo e farlo volare in alto. È il bambino felice e bellissimo, che dopo aver studiato a lungo il ghiaccio con prudenza ci si lancia sopra per scivolarci con la facilità apparente di quelli che nascono con in sé i privilegi e i pesi della primogenitura. Quello che ti fa ininterrottamente la radiocronaca di ogni secondo che vive, perché siamo al mondo per comunicarlo e senza un pubblico, dove saremmo mai?

Uno ha bisogno di sapere come funzionano le cose.

L’altro di saperne il perché.

Uno dorme di un sonno solido, senza fessure in cui insinuarsi, dorme come se dal suo sonno dipendesse la salvezza del mondo e in fondo è così, sarà il sonno tattile dei visionari a guarirci dai nostri mali.

L’altro soffre dell’insonnia di partenza di chi ha troppo da dire e troppo da fare e troppo di cui riflettere per concedersi di abbandonarsi, e si aggira come un fantasma nella notte alla ricerca di quel sonno che vuole e di cui diffida.

Uno mi ha sempre regalato la certezza che saprà cavarsela sempre, nonostante il mondo che lo circonda, spargendo per il mondo i suoi talenti, perché chi ne ha tanti può permettersi di sprecare con generosità, senza un fine concreto, solo il puro piacere di toccare, manipolare, sperimentare, regalare. Raccoglie detriti postmoderni per strada, li sventra e li ricompone in totem organici che mi affollano il giardino.

L’altro sparge il dubbio, lo raccoglie, ci fa delle palle di neve che lancia in giro e a volte rimbalzano, a volte no. Fa del suo cuore un proclama, lo lancia nel vento e prosegue a salvare il mondo, a volte dimenticandosi di sé.

E io posso solo seguirli, registrando il cammino e i passi, nutrendomi della loro forza e consumandomi nelle loro debolezze, riconoscendo tutti i pezzi, e le viti e i giunti di cui li ho fatti, ma senza capirne il libretto di montaggio e le istruzioni d’uso, perché questo è il destino delle madri.

15 comments

  1. Che bel post! Anch’io vorrei liberare pensieri e parole come queste, ma quando ci provo è ancora tutto così ingarbugliato, teso e complicato. Ma forse è ancora presto: quattro e tre anni sono ancora pochi affinché questi piccoli esseri così completi e interessanti possano svelarsi limpidamente. Anche davanti ai miei occhi di madre.

  2. Poetica ed assolutamente realistica. Bei figli, belle anime, si vede che fate un ottimo lavoro nel preservarli ed aiutarli a rimanere loro stessi pur crescendo ed affrontando il mondo.
    Chiara

  3. Mi sono emozionata e mi sono riconosciuta nel comune atto mammifero di raccogliere indizi e sguardi per carpire il mistero delle loro piccole vite sempre più piene di emozioni, parole e idee di cui noi non siamo ormai più da tempo esclusivi interlocutori…è un privilegio essere testimoni del loro viaggio…

  4. non c’è niente da fare, le madri sono proprio innamorate dei figli… e mi ci metto anche io
    PS aiuto ho pianto un po’ pure io, che belli i tuoi figli, me li ricordo ancora 🙂

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