kaart-amsterdam guardia medicaFinalmente un sabato di sole, i bambini fuori a giocare e io con mio cognato a pulire una per una le tavole del pavimento di legno che dobbiamo traslocare.
Un’occasione ideale per scoprire come raggiungere la guardia medica quando il tuo medico è chiuso. Ad Amsterdam basta telefonare allo 088 0030 600, digitare le 4 cifre del tuo codice postale e ti collegano con la guardia medica più vicina. Se si tratta di vita o di morte bisogna scegliere “1”, altrimenti basta aspettare pazientemente che ti colleghino.
“Attendere, prego. C’è ancora una persona prima di lei” fa la voce automatica per un 5 minuti. Io e Orso in braccio ascoltiamo pazientemente. Poi mi risponde la signora, e io sono ancora orgogliosa del mio tono basso tranquillo e controllato.
“Buongiorno, mio figlio di quattro anni ha appena preso una botta con una mazza da hockey all’angolo dell’occhio e siccome non smette di sanguinare ed è un taglio profondo, volevo fargli mettere un po’ di colla”.

“Venga subito in Wibautstraat 172 e lo sistemiamo”, mi fa la signora.

“Hai visto Orso”, faccio tutta allegra. “andiamo e la signora ti fa mettere la colla, come lunedì con Sabrina dal nostro medico”.
Orso è bravissimo. Dopo il primo pianto disperato quando me li sono visti davanti casa in tre, Ennio e Abe con le mazze da hockey in mano, e Orso che piange disperato, con la faccia e la maglietta coperte di sangue, accompagnati dalla mamma di Abe, lo prendo in braccio, andiamo in cucina a bagnare un tovagliolo per pulirgli la faccia e vedere cosa è successo. Urla che non vuole che lo tocco. Zio Arjan pallidissimo che mi va a prendere il telefono e si pasticcia per le scale con i tasti e il resto.
“Voglio andare nel lettone”. E nel lettone ci siamo messi a telefonare. A papà che sta a casa nuova a metter pavimenti e non riponde. A oma, che è la nostra guardia medica telefonica, ma non c’è. Di nuovo a papà, inutilmente. Al nostro medico, che sta chiuso ma ti dice in segreteria il numero di emergenza e lo so, per questo lo chiamo. Poi al numero sopra. Poi di nuovo a papà, che risponde e arriva.
Intanto ci siamo dati una pulita approssimativa, ci siamo cambiati i vestiti sporchi, che ero già decisa a chiamare vicini, tassisti, chiunque potesse portarmi con una macchina e non volevo si rifiutassero di caricarci per non sporcare gli interni.

Alla guardia medica c’è un ragazzino simpatico e chiacchierone, vestito da hockey, che dichiara che l’Italia è il suo paese preferito e sa persino contare fino a dieci in italiano. Stava giocando a hockey anche lui e nonostante il parastinchi anche lui ha un taglio che non si richiude sul perone. Però a parte questo giocare a hockey è fortissimo e lui ha iniziato nella squadra da sedici bambini, ma adesso lo hanno passato a quella da otto.

Orso entra, si fa incollare con stoicismo, ci fa persino osservare che il medico ha lo stesso attrezzo per guardare nelle orecchie che ha oma, e che oma lo ha fatto guardare nell’orecchio di Ennio.
“E cosa ci hai visto?” chiede il capo.
“Una strada dentro l’orecchio”.
Torniamo a casa, pranziamo, Ennio può continuare a giocare fuori se promette di lasciar perdere le mazze da hockey, Orso meglio di no ma può guardare Bugs Bunny su youtube nel lettone. Io mi sdraio con lui e crollo, dormo due ore. Al risveglio si è unito anche Ennio, youtube nel frattempo propone tutte parodie di cartoni con quello che si potrebbe definire very foul language, per fortuna è in inglese.
È ora di andare da Annahita, dove le belve sono ospiti stasera (“Tutti e due?” aveva chiesto lei incredula alla madre e poi ha inneggiato a braccia all’aria, saltando tutta felice, e scordandosi di essere la piccola perfetta Miss Grace Kelly quattrenne).

Tirarli fuori dal letto e prepararli per uscire, rischio un attacco di nervi. Manco non stessero andando a fare una cosa organizzata per loro, piacevole. Che certe volte una si chiede a che scopo tutti questi sforzi, basterebbe chiuderli in cantina con youtube fino alla maggiore età e si starebbe tutti tranquilli.

Per strada, Ennio che è in bici da solo, mi comunica che vuole salire sull’erba della collinetta e riscendere. Per un attimo lo vedo cadere e spaccarsi anche lui la testa su una pietra. Madri che si fanno i film, ovviamente.
Poi mi viene un attacco di rabbia che sorprende me per prima e silenziosamente mi dico che se si dovesse far male, adesso, se solo ci prova, lo prenderò a calci fino al prontosoccorso, altro che taxi. Che ci sono dei limiti. Due volte a farsi incollare la testa in una settimana, guardate il mio aplomb, ancora ce la faccio. Ma due in un giorno e sclero pure io, porca puttana.
Li consegno al padre di Annahita, che per fortuna è pediatra, con le istruzioni del caso (“Ma perché non hai chiamato? È vero che non ha l’occorrente in casa, ma veniva lui a darci un’occhiata”, fa la santa donna della mia amica).
Vado a casa. Poi vado a Rotterdam a predere mamma che arriva dall’Italia. L’aereo è in ritardo e rientriamo all’una e mezza.
“Però è la prima volta che vengo qui e ci riusciamo a fare una chiacchierata con calma”, fa mia madre.

Vero, che ci aspetta una settimana di corsa. Però non si dorme mai così bene come con la mamma vicina e nessun mostro che ti si infila nel lettone alle 4 di notte perché ha i ritorni di incontinenza.

Davvero, se non ci spicciamo a traslocare e rimetterci tutti tranquilli, io non rispondo di me.

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